Negli ultimi cinque mesi le grandi multinazionali hanno dovuto affrontare la crisi peggiore dalla Seconda Guerra Mondiale ad oggi. Il coronavirus ha avuto un forte impatto su numerosi settori dell’economia, su tutti quello degli aeromobili (-22,1 per cento). Sul podio delle multinazionali che hanno sofferto di più la crisi del coronavirus anche quelle appartenenti ai settori del petrolio ed energia (-15,9 per cento) e della moda (-14,1 per cento). I dati sono stati pubblicati dall’area studi Mediobanca e diffusi da alcune importanti edizioni online (tra cui Business Insider).

Grandi multinazionali, top e flop ai tempi del coronavirus: la classifica di Mediobanca

Top

  1. Websoft: +17,4%

  2. Gdo: +9,1%

  3. Comparto farmaceutico: +6,1%

  4. Pagamenti elettronici: +4,7%

  5. Elettronica: +4,5%

Flop

  1. Aeromobili: -22,1%

  2. Petrolio ed energia: -15,9%

  3. Moda: -14,1%

  4. Automotive: -9,1%

  5. Telecomunicazioni: -2,6%

Crescono le multinazionali del settore websoft

Le grandi multinazionali che operano nel settore websoft (web e software) fanno registrare valori in netta controtendenza, con una crescita superiore al 17 per cento. Bene anche la grande distribuzione organizzata (Gdo), che fa segnare un rialzo di poco inferiore al 10 per cento. Come era prevedibile, crescono comparto farmaceutico e il settore dei pagamenti elettronici. Alla speciale classifica si aggiunge infine il settore dell’elettronica.

Stabile il settore Media e Intrattenimento

Dalla ricerca di Mediobanca emerge un quadro tutto sommato ancora positivo per le multinazionali che operano nel settore Media e Intrattenimento, che limitano il calo di guadagni a -0,5 per cento. Un discorso analogo può essere fatto per le grandi aziende del Food&Drink, in rialzo complessivamente del 2 per cento netto (-0,1 per le bevande, +3,4 per il cibo).

Attesa per i dati del primo semestre 2020

I dati del primo semestre 2020 mostreranno gli effetti maggiori della crisi portata dalla pandemia. A dirlo sono gli esperti di Mediobanca, secondo cui bisognerà attendere il secondo trimestre per conoscere quali sono state le conseguenze per le aziende che operano in Europa e negli Stati Uniti.

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