Si avvicina la data di inizio delle votazioni del Parlamento riunito in seduta comune per eleggere il nuovo presidente della Repubblica. E il nome di Giuliano Amato torna in ballo come candidato papabile, esattamente come in ognuna delle ultime elezioni. A 83 anni di età, il due volte premier e oggi vice-presidente della Corte Costituzionale ha quei requisiti minimi per farcela, specie se i partiti dovessero optare per far rimanere Mario Draghi a Palazzo Chigi.

Il “Dotto Sottile” ha una peculiarità che lo rende un candidato perfetto per succedere a Sergio Mattarella: va d’accordo con tutti i potenti, indipendentemente dal colore politico.

A sinistra è ben voluto per il semplice fatto di essere un insipido tecnocrate del suo mondo; a destra, almeno tra i berlusconiani, non è inviso per via dei suoi trascorsi craxiani. Sì, perché Amato fu braccio destro di Bettino Craxi all’apice del potere, salvo avere cambiato cavallo quando questi cadde in disgrazia a causa di Mani Pulite.

Il suo ingresso a Palazzo Chigi risale al giugno 1992. Erano mesi drammatici per l’Italia, travolta da una crisi finanziaria, economica, politica e di sicurezza. Le istituzioni erano al collasso, la lira era bombardata dagli attacchi speculativi, i conti pubblici erano del tutto sballati con un deficit a doppia cifra rispetto al PIL e il Trattato di Maastricht appena firmato imponeva il rientro sotto il tetto del 3% al più tardi nel 1997.

I “successi” di Giuliano Amato

Da neo-premier, Amato impose in una notte di luglio il prelievo forzoso sui conti bancari. Lo stato prelevò senza preavviso lo 0,6% di tutte le somme depositate. Non è tutto. Nelle stesse settimane, introdusse l’Imposta Comunale sugli Immobili, la tristemente famosa ICI, madre dell’attuale IMU. Nel giro di niente, tutti i sacrifici delle famiglie italiane furono massacrati dalle tasse. Quell’anno, grazie a queste due manovre lo stato incassò 11.500 miliardi di lire, quasi 6 miliardi di euro.

La cifra in sé può sembrare altissima, ma il deficit fiscale ammontava a oltre 83 miliardi degli attuali euro.

Tra i “successi” di Amato vi fu anche la battaglia persa per difendere la lira. Chiedete a George Soros se non ami l’uomo che, insieme al governatore della Banca d’Italia, Carlo Azeglio Ciampi, solamente nel mese di luglio di quell’anno “bruciò” 12.000 miliardi delle vecchie lire per cercare di arrestare l’inarrestabile. Dopodiché, si dimise per lasciare il posto proprio a Ciampi. Al governo tornò sette anni più tardi, a capo della coalizione di centro-sinistra e vi rimase per un altro anno. Di quel periodo, nessuno ricorda nulla, neppure tra i Pico della Mirandola del giornalismo. Negli ultimi anni, tra una carica e l’altra ricoperta si è distinto per una battuta alquanto squallida. Incontrando la comunità islamica da ministro dell’Interno, definì “usanza siculo-pakistana” quella di picchiare le donne.

Il profilo di Giuliano Amato potrà lasciare inorriditi molti di voi, ma la politica italiana valuta uomini e donne secondo altri “meriti”. L’uomo dal Quirinale non esiterebbe a coprire sul piano istituzionale qualsiasi misura “lacrime e sangue” che si rendesse eventualmente necessaria per compiacere qualche autorità del vincolo esterno. Dopo aver tassato case e risparmi, chissà che da capo dello stato non prema sui governi per ottenere la tanto ambita (a sinistra!) patrimoniale. C’è ancora una speranza di vederlo confermato come numero due della Consulta: il suo nome gira a ogni elezione del presidente, ma alla fine se ne trovano di altri. Ma chissà se stavolta non sia realmente il turno del Dottor Sottile!

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