Non è ancora iniziato l’iter parlamentare per confermare la nomina di Kazuo Ueda da parte del governo come prossimo governatore della Banca del Giappone. L’uscente Haruhiko Kuroda sta avendo il suo da farsi per gestire una situazione divenuta ogni giorno sempre più delicata. Ieri, il rendimento del bond a 10 anni ha superato la soglia massima tollerata dello 0,50% per la seconda seduta consecutiva. E così, l’istituto è dovuto scendere nuovamente in campo con l’annuncio di nuovi maxi-acquisti di titoli di stato: 300 miliardi di yen (2,2 miliardi di dollari) destinati al tratto della curva che va dai 5 ai 10 anni, altri 1.000 miliardi al tratto da 10 a 25 anni.

Nel solo mese di gennaio, erano stati acquistati 23.690 miliardi di yen (175,7 miliardi di dollari) di bond per frenare l’emorragia di vendite.

Giappone tra inflazione e debito

Nei giorni scorsi, sempre la Banca del Giappone ha annunciato che offrirà prestiti a 5 anni dietro collaterale di garanzia, un modo per indurre le istituzioni finanziarie a comprare bond a 5 anni. Inoltre, ha quadruplicato le commissioni sui prestiti dei titoli di stato decennali per colpire la speculazione. Una strategia che inizia a fare acqua da tutte le parti. Lo yen è sceso ai minimi da due mesi, in area 135 contro il dollaro. Perde quasi il 15% in un anno. Ciò che è peggio è il dato sull’inflazione: 4% a dicembre. In confronto ai tassi vigenti ancora in Occidente, poca roba, pur ai massimi da gennaio 1991. Ma il trend preoccupa. Se l’inflazione in Giappone continuasse a salire, la banca centrale si troverebbe a scegliere tra stabilità dei prezzi e stabilità fiscale.

In effetti, il calmieramento dei rendimenti sovrani serve a tenere sotto controllo il costo di emissione del debito pubblico, salito sopra il 260% del PIL. Ed esso è ottenuto “stampando moneta”, cioè iniettando liquidità sui mercati dietro acquisti dei bond. Proprio queste operazioni rischiano di alimentare l’inflazione, tra l’altro incentivando il deflusso dei capitali, che a sua volta indebolisce lo yen.

E un cambio più debole finisce per aumentare i costi dei beni importati; ergo, nuova inflazione.

Fine controllo curva rendimenti?

Kuroda vuole finire il suo secondo mandato senza smentire la sua politica monetaria ultra-espansiva applicata nell’ultimo decennio. Ad aprile gli succederà quasi certamente Ueda, che sarà subito chiamato a decidere cosa vuole fare. La via più veloce per arrestare la speculazione sarebbe eliminare in un solo colpo il tetto ai rendimenti sovrani. Sarebbe la fine del controllo della curva dei rendimenti dopo oltre sei anni e mezzo. Tuttavia, l’effetto collaterale consisterebbe nel boom dei costi di emissione dei titoli di stato, quindi, nell’aumento della spesa per interessi. D’altra parte, lo yen si rafforzerebbe, l’inflazione si ridurrebbe e i consumatori ringrazierebbero.

La pressione sul cambio è tornata dopo mesi di apparente tregua, in coincidenza con l’accrescimento della retorica da “falco” negli Stati Uniti e in Europa. La Banca del Giappone tiene i tassi a -0,10%, per cui i capitali tendono a defluire dal Sol Levante in questa fase per trovare impieghi più remunerativi. A settembre e ottobre, l’istituto dovette intervenire sul mercato forex per la prima volta dal 1998 per arrestare la speculazione ai danni dello yen. A dicembre, Kuroda raddoppiò la soglia di tolleranza per i rendimenti decennali. Queste misure sono servite a guadagnare tempo, ma hanno altresì accresciuto l’appeal speculativo del Giappone nell’attesa che il prossimo governatore entri in carica e cambi direzione alla policy. Andare avanti così da qui almeno ad aprile sarà ogni settimana più dura. Il peggio arriverebbe nel caso di rialzi dei tassi superiori alle attese da parte di Federal Reserve e/o Banca Centrale Europea.

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