C’è una parte del mondo in cui i tassi negativi resistono contro tutto e tutti ed è il Giappone. Qui, sembra che il tempo si sia fermato a qualche anno fa, quando l’inflazione stava a zero e i rendimenti sovrani viaggiavano su livelli così infimi da risultare persino ridicoli e snobbati dal grande pubblico dei risparmiatori. Ma qualcosa inizia a cambiare anche a Tokyo. Ieri, la Banca del Giappone è dovuta intervenire sul mercato per acquistare bond sovrani con scadenze da 5 a 25 anni per l’importo di 400 miliardi di yen, circa 2,5 miliardi di euro.

Poco prima, il rendimento decennale era salito allo 0,815%, ai massimi da una decina di anni a questa parte.

Yen giù, rendimenti su

Secondo le previsioni, l’istituto questo mese alzerà le stime sull’inflazione per l’anno fiscale in corso dal 2,5% al 3% e per il prossimo dall’1,9% ad almeno il 2%. Difficile continuare a giustificare una politica monetaria ultra-espansiva. Il governatore Kazuo Ueda, in carica dallo scorso aprile, si è finora mostrato prudente sui cambiamenti da apportare. Ma i tassi in Giappone non sembrano più compatibili con le condizioni del mercato. Lo yen ha perso il 12,5% contro il dollaro quest’anno, portandosi a ridosso del cambio di 150.

Al fine di ridurre le distorsioni sul mercato obbligazionario, Ueda ha innalzato a luglio la soglia-limite per il rendimento decennale all’1%. Il predecessore Haruhiko Kuroda lo aveva raddoppiato allo 0,50% nel dicembre scorso. In ogni caso, i rendimenti nipponici restano assai inferiori agli altri paesi. Si confrontano, ad esempio, con oltre il 4,80% del T-bond americano. I deflussi dei capitali stanno spingendo in basso il cambio e in alto i rendimenti sovrani.

Cambio di policy in vista a Tokyo?

Per questa ragione, Ueda annuncerebbe entro la fine dell’anno sia l’abbandono del controllo della curva, sia la fine dei tassi negativi. A dirlo è un ex componente del board della Banca del Giappone, tale Makoto Sakurai.

Il problema sta nel calibrare gli annunci. Se gli investitori avessero l’impressione che la politica monetaria a Tokyo diventerà più restrittiva, pretenderanno rendimenti sempre più alti sui bond e finiranno con il provocare una distanza eccessiva tra situazione del mercato e tassi ufficiali. In altre parole, l’istituto resterebbe troppo dietro la curva e dovrebbe rimediare alzando i tassi a ritmi serrati e potenzialmente tali da innescare tensioni finanziarie.

Ricordiamo che il Giappone detiene un debito pubblico al 265% del PIL. Un aumento dei tassi troppo veloce diverrebbe insostenibile per le casse dello stato, in quanto farebbe esplodere il costo di emissione dei bond. Il problema è parzialmente attenuato dal fatto che circa la metà dello stock si trova in pancia alla banca centrale, per cui il rinnovo del debito nel breve termine non è considerato un grosso ostacolo.

Tassi Giappone su problema per BTp

Il cambio di policy in Giappone sarebbe problematico, invece, per l’Eurozona. Fiumi di capitali tornerebbero in patria e oltretutto il Sol Levante riuscirebbe ad attirare capitali anche stranieri verso i suoi bond più redditizi. Una situazione che colpirebbe, in particolare, mercati come l’Italia, in cui i titoli di stato sono percepiti a rischio e pronti ad essere mollati alla minima occasione utile.

Ad oggi, i tassi in Giappone restano fissati al -0,10%. Nel frattempo, sono saliti al 5,50% negli Stati Uniti, al 4,50% nell’Eurozona e al 5,25% nel Regno Unito. C’è da dire che dopo decenni di deflazione, il paese non vede di cattivo occhio un minimo d’inflazione. Essa avrebbe anche l’effetto di ridurre il rapporto tra debito e PIL, gonfiando il valore nominale di quest’ultimo. A patto, però, di non far lievitare i rendimenti sovrani. La speranza di Ueda è che la pressione sui bond si riduca già nelle prossime settimane, se e quando le altre principali banche centrali annunciassero la fine della rispettiva stretta sui tassi.

In quel caso, il Giappone si potrebbe permettere di tenere i tassi negativi o di alzarli gradualmente con tutta la calma possibile.

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