La chiusura del pipeline North Stream 1 mette in allarme la Germania. L’infrastruttura di 1.200 km porta il gas russo nel paese e come ogni anno in estate chiude per un paio di settimane per fare l’ordinaria manutenzione. Tuttavia, il ministro dell’Economia e per la Protezione ambientale, Robert Habeck, ha chiarito che al termine dei giorni dedicati alla riparazione, probabile che Gazprom decida di lasciare la Germania senza gas. E scatta il piano di emergenza per il caso che ciò accadesse: forniture prima di tutto agli ospedali, ai servizi d’emergenza, poi alle famiglie e dopo alle imprese.

In questi mesi, Berlino sta ricevendo da Mosca il 40% della quantità di gas media del periodo. Punta a scorte per il 90% entro l’1 novembre e ad oggi sarebbe arrivata al 63% degli stoccaggi.

Germania senza gas e sull’orlo della recessione

Nei giorni scorsi, i tedeschi si sono appellati al Canada, affinché restituisce alla Russia la turbina in riparazione, indispensabile per il funzionamento del pipeline. Il governo di Ottawa ha risposto affermativamente, annunciando che sospenderà “a tempo limitato” le sanzioni per evitare che l’Europa finisca a corto di gas.

Sta di fatto che l’economia tedesca si trova in condizioni inimmaginabili anche solo un anno fa. Uniper, principale importatore di gas, ha chiesto al governo un salvataggio pubblico. Sta acquistando la materia prima a costi esorbitanti dalla Russia, ma non riesce a scaricare gli aggravi sui clienti per via dei contratti siglati a lungo termine. Il governo federale è in contatto con la Finlandia per concordare le condizioni del salvataggio in stile Lufthansa. La società risulta, infatti, partecipata da Finland Fortum.

L’inverno si annuncia pesante per le famiglie tedesche, alle quali il cancelliere Olaf Scholz ha spiegato di attendersi rincari per le bollette fino a 5.000 euro medi in più all’anno.

Una batosta per le finanze private, in prospettiva della quale i consumi già rischiano di scricchiolare. L’allarme recessione risuona ogni giorno più forte nel paese. La situazione è così grave che il governo tedesco da settimane sta bloccando gli aiuti all’Ucraina dell’Unione Europea. Bruxelles ha promesso 9 miliardi a Kiev, ma la Germania ha acconsentito all’erogazione solamente della prima tranche da 1 miliardo.

Blocco aiuti all’Ucraina

Formalmente, il ministro delle Finanze, Christian Lindner, lamenta che gli aiuti siano stati stanziati attingendo al debito comune europeo. E sappiamo quanto i tedeschi siano restii ad aiutare altri paesi con emissioni sovranazionali. Stavolta, tuttavia, dietro vi sarebbe il tentativo di Berlino di accelerare la fine della guerra spingendo il presidente Volodymyr Zelensky a stringere un accordo con Vladimir Putin. Tutta la strategia fin qui perseguita sul piano geopolitico dall’Europa andrebbe a farsi benedire. Peraltro, la Germania fiuta le difficoltà di Kiev in questa fase, tra avanzata delle truppe russe nel Donbass e la perdita di un alleato prezioso come Boris Johnson, in procinto di lasciare la guida del governo britannico.

Sono stati tre i pilastri su cui poggiava la “locomotiva d’Europa” negli ultimi decenni: importazioni di energia a basso costo, principalmente dalla Russia; esportazioni sui nuovi mercati emergenti come la Cina; rete di fornitori-satellite negli stati confinanti. La guerra ucraina ha minacciato i primi due e già la pandemia aveva messo a rischio le relazioni commerciali tra economie geograficamente molto distanti. Insomma, la Germania non teme soltanto di restare senza gas, ma di perdere i fattori di vantaggio che le avevano consentito di produrre efficientemente per un lungo periodo, vincendo la sfida della globalizzazione, caso più unico che raro tra le manifatture occidentali.

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