Se oggi in Germania si tornasse a votare, la coalizione semaforo al governo non andrebbe oltre il 40%, restando dodici punti percentuali sotto i livelli di neppure due anni fa. I sondaggi continuano a segnalare l’ascesa dell’AfD, il partito euro-scettico guidato da Alice Weidel. Sarebbe al 21-22%, dietro solo al 26-27% della CDU-CSU, il cartello cristiano-democratico oggi all’opposizione. Finora l’AfD è stato tacciato di essere un partito estremista, neonazista, razzista, contrario alla democrazia e sovversivo. Non è bastato a dissuadere i tedeschi dal votarlo.

I primi successi elettorali locali confermano che la rabbia è altissima nel paese, specie tra gli ex Laender orientali. E che la musica stia iniziando a cambiare lo dimostrerebbero anche le parole di Friedrich Merz, segretario della CDU. Per la prima volta ha aperto all’ipotesi di alleanze con l’AfD, pur solo (per adesso?) in ambito locale.

Economia tedesca in recessione

Messi insieme, oggi sfiorerebbero il 50%. Resta assai improbabile che i conservatori aprano da qui al prossimo futuro ad alleanze nazionali con il partito alla loro destra. E’ una questione di sopravvivenza politica più che di valori in senso stretto. Tuttavia, la vicenda inizia a farsi seria. La Germania sarà quest’anno l’unica economia del G7 in recessione. Lo ha previsto ieri il Fondo Monetario Internazionale, secondo cui il PIL tedesco cederà lo 0,3% nell’intero 2023.

Sempre ieri l’indice IFO sullo stato di salute dell’economia ha deluso le aspettative. E’ sceso a luglio a 87,3 punti dagli 88,6 punti di giugno. Gli analisti si aspettavano una discesa a 88 punti. In base anche a questi numeri, associati alla debolezza della manifattura, il PIL dovrebbe essersi contratto anche nel secondo trimestre. Sarebbe per la terza volta consecutiva.

Il successo dell’AfD e la caduta libera della coalizione di governo nei sondaggi sono correlati proprio al flop dell’economia in questi primi anni di governo del cancelliere Olaf Scholz.

I tedeschi hanno paura dell’inflazione e si rivolgono alle opposizioni. Per combatterla la Banca Centrale Europea (BCE) sta alzando i tassi di interesse, con il risultato di indebolire il ricorso al credito. In Francia, Germania e Spagna sta accadendo più che in Italia. Le conseguenze della lotta al carovita si traducono in un calo della domanda e della produzione. Risultato: tedeschi ancora più arrabbiati, perché oltre a un’inflazione che resta alta si ritrovano un’economia che va indietro.

Corsa contro il tempo di Scholz

Nel breve periodo c’è poco che la Germania di Scholz possa fare. Ha appena stanziato 20 miliardi di euro a favore degli investimenti nell’industria dei chip. La metà andrà a favore di Intel, che si è impegnata a costruire due stabilimenti del Sachsen-Anhalt, proprio uno dei Laender in cui particolarmente forti sono i consensi per l’AfD, essendo tra i più poveri del paese. Berlino scopre il ricorso all’indebitamento per tamponare le falle sociali che si stanno aprendo come voragini e che rischiano di far precipitare la politica teutonica in abissi inesplorati.

Scholz è indeciso a tutto. Non sa se tramite la Bundesbank debba fare pressione sulla BCE perché inasprisca la lotta all’inflazione o, al contrario, per ammorbidirla. Rischia di sbagliare in entrambi i casi: o farebbe rimanere l’inflazione più alta a lungo o finirebbe per acuire la recessione economica da qui ai prossimi trimestri. Peccato che non abbia molto tempo a disposizione. Tra undici mesi si terranno le elezioni europee e una sonora bocciatura con l’AfD secondo o primo partito provocherebbe la caduta del suo governo.

Germania indebolita anche sul piano geopolitico

La Germania sta uscendo ammaccata anche sul piano geopolitico. Gli anni in cui dominava nel Vecchio Continente per il momento appaiono sospesi.

La leadership di Scholz è grigia e poco chiara su tutto, mentre la guerra tra Russia e Ucraina e le tensioni tra Stati Uniti e Cina hanno messo nell’angolo il governo tedesco, i cui spazi di manovra si sono ridotti al lumicino. Berlino aveva puntato sulla globalizzazione per affermare il suo dominio commerciale. Le strette relazioni con Pechino erano la precondizione per la sua espansione in Asia. Nel frattempo, rapporti di buon vicinato anche con Vladimir Putin consentivano alle imprese tedesche di importare gas a buon mercato con cui produrre a prezzi competitivi.

Sarebbe ingenuo immaginare che la Germania sia caduta in un declino inarrestabile. Deve, però, ripensare a sé stessa. E fintantoché non avrà un quadro chiaro e definitivo delle alleanze internazionali, non potrà farlo a bocce ferme. Serve, quindi, che la guerra tra Mosca e Kiev cessi e che l’amministrazione Biden si decida una volta per tutte a tracciare una linea oltre la quale il business non sarebbe più consentito con paesi “ostili”. Ma gli Stati Uniti forse non hanno fretta. Washington sta cercando di massimizzare il risultato di questa fase di disorientamento generale. Sa che i tedeschi saranno tenuti a bada finché parleranno le armi. Più arriveranno indeboliti all’appuntamento con il riassetto globale, meglio sarà per l’economia americana.

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