L’economia tedesca dovrebbe cadere in recessione per la seconda volta da inizio pandemia. A prevederlo è la Bundesbank, secondo cui il PIL in Germania si contrarrà nel trimestre in corso dopo avere segnato un -0,7% congiunturale nell’ultimo trimestre del 2021. E l’istituto centrale di Francoforte rimarca come il ripiegamento stavolta coinvolgerebbe anche gli altri settori, non solo quello dei servizi, tipicamente il più colpito dalle restrizioni anti-Covid nella prima fase.

La Germania è cresciuta solamente del 2,8% l’anno scorso, ma nel 2020 la sua economia era caduta molto meno drasticamente dell’Italia, segnando -4,6%.

A conti fatti, l’economia tedesca è tornata al 98% del livello pre-Covid, mentre quella italiana è risalita al 97%. In altre parole, la Germania continua a fare meglio, malgrado la recessione in corso. E le prospettive non appaiono incoraggianti nel nostro Paese. Dopo essere rimbalzata del 6,5% nel 2020, la nostra economia si sarebbe schiantata contro la variante Omicron e il caro bollette.

Recessione rischio anche per Italia

Confcommercio stima che il PIL nel mese di gennaio sarebbe diminuito dell’1% su dicembre e che l’inflazione a febbraio salirà al 5,6% dal 4,8% del mese scorso. Nell’ultimo trimestre del 2021, pur in deciso rallentamento, il PIL italiano si era espanso dello 0,6%. Ufficialmente, ammesso che nel primo trimestre di quest’anno segnasse una variazione negativa, non saremmo ancora in recessione. Poco importa, però, perché è evidente la frenata in atto. Molte attività stanno o fermando gli impianti o rallentando la produzione per l’impossibilità di tenere testa agli aumenti dei prezzi dell’energia.

La seconda recessione tedesca in due anni, poi, crea più di un problema alle imprese esportatrici del Nord-Est, legate all’automotive della Germania. La crisi dei chip e la conseguente riduzione della produzione di auto nel mondo sta assestando un duro colpo proprio all’economia tedesca, che poco prima della pandemia produceva 4,7 milioni di veicoli, esportandone non meno di 3,5 milioni.

Lo scorso anno, invece, la produzione si è fermata a 3,1 milioni e le esportazioni hanno continuato a scivolare nettamente sotto i 3 milioni.

Queste difficoltà meno temporanee del previsto, unitamente all’alta inflazione, hanno ridotto la fiducia delle imprese tedesche. L’indice IFO non ha fatto che ripiegare dai massimi di giugno fino a dicembre, risalendo per la prima volta a gennaio. D’altronde, neppure il morale dei consumatori è positivo, restando nettamente al di sotto dei livelli pre-Covid e in territorio negativo. A febbraio, segnava -6,7 punti, pur in lieve rialzo dai -6,9 di gennaio. Ma agli inizi del 2020, era a 10, segno che gli effetti della pandemia sull’umore di imprese e famiglie stiano perdurando più delle previsioni. D’altra parte, i tedeschi erano abituati storicamente a tassi d’inflazione molto contenuti persino quando nel resto dell’Occidente galoppavano. Adesso, si ritrovano con prezzi al consumo in crescita annuale del 5%, ai massimi dalla riunificazione.

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