Lo scenario di una cosiddetta “Dexit” sarebbe “una rovina per l’economia tedesca”. A dirlo è stato in settimana il ministro delle Finanze, Christian Lindner, replicando alla proposta della co-leader di Alternativa per la Germania (AfD), formazione euro-scettica. In vista delle elezioni europee di giugno, Alice Weidel ha definito “la Brexit un modello”. A suo parere, ai tedeschi dovrebbe essere consentito di votare con apposito referendum per decidere se la Germania debba uscire fuori dall’euro, anzi dall’Unione Europea tout court.

Germania fuori dall’euro devastante per le esportazioni

Il termine “Dexit” riecheggia proprio Brexit ed è la sintesi di “Deutschland exit”. Lindner ha spiegato che per un’economia basata sulle esportazioni uscire dal mercato comune sarebbe un disastro, perché questo si rivela “di primaria importanza” per essa. “Criticate pure le politiche di questo governo, ma non esiste ragione per mettere in discussione il sistema e cambiare le condizioni su cui si fonda la nostra ricchezza”.

Una Germania fuori dall’euro non è all’ordine del giorno neppure sul piano del dibattito politico. Certo, il tema sembrò marginale anche nel 2016 quando il Regno Unito celebrò il famoso referendum consultivo dall’esito totalmente imprevisto da analisti, governo e partiti. Il punto vero è che l’economia tedesca è in crisi e già basta per fare vacillare tante certezze a Berlino. Sinora il rischio “-exit” era stato paventato in contesti nazionali molto differenti, specie in Grecia e, in misura minore, in Italia.

Economia tedesca in posizione di forza

Tuttavia, c’è una ragione per la quale il tema della Germania fuori dall’euro rischia di diventare insidioso per i partiti al governo e l’opposizione conservatrice tradizionale. Rispetto ai cataclismi economici temuti, a cui andrebbero incontro gli altri paesi in uno scenario del genere, la Germania presenterebbe condizioni molto differenti. Ha ragione Lindner quando afferma che l’economia tedesca va avanti di esportazioni e, quindi, verrebbero picconate le basi della sua stessa crescita.

D’altra parte, parliamo di un’economia robusta e percepita dagli investitori stranieri come “porto sicuro” dalle intemperie di varia natura.

Cosa accadrebbe alla Germania fuori dall’euro? Il suo tasso di cambio si rafforzerebbe di molto contro quel che rimarrebbe dell’euro, il dollaro e le altre divise internazionali. Non sarebbe una passeggiata di salute per le imprese tedesche, ma lo scenario opposto di una svalutazione sarebbe molto peggiore. L’economia perderebbe competitività, ma allo stesso tempo attirerebbe capitali dall’estero con cui poter investire a basso costo. Assisteremmo, almeno per una prima fase, a un riequilibrio tra esportazioni e consumi interni, a favore dei secondi.

Cos’è e come funziona il Target 2

Ma è il Target 2 della Banca Centrale Europea a fare gola, non solo agli euro-scettici di nuovo conio per voler essere sinceri. Possiamo considerarlo un registro contabile presso cui vengono annotate le vendite di merci, servizi e capitali tra paesi facenti parte dell’Area Euro e che, pertanto, sono regolate nella moneta unica senza più passare per conversioni valutarie. Ebbene, in questo registro i crediti di un paese sono debiti degli altri e viceversa. Sapete qual è la posizione della Germania? A credito di quasi 1.100 miliardi di euro! E l’apice era stato raggiunto alla fine del 2022 con oltre +1.260 miliardi.

Per contro l’Italia ha una posizione debitoria di oltre 520 miliardi, anche se il minimo storico lo toccava nel settembre di due anni fa a -715 miliardi. Questo significa che, nel complesso, l’economia italiana nell’Area Euro si mostra poco competitiva, mentre quella tedesca lo è fin troppo. A dire il vero, nello specifico non risultiamo svantaggiati sul piano commerciale (anzi), bensì sul fronte finanziario. I deflussi finanziari netti verso il resto dell’area più che compensano le nostre esportazioni nette.

La precisazione di Draghi

C’è da dire una cosa: il Target 2 registra crediti e debiti che formalmente possono non essere mai regolati, nel senso che sono posizioni “a tempo indeterminato”. In teoria, una banca centrale sarebbe tenuta a saldare i suoi debiti a favore delle altre banche centrali dell’area, ma nei fatti non esiste una scadenza entro cui farlo. Come se qualcuno ci desse un prestito della durata illimitata. Tuttavia, rispondendo a un’interrogazione all’Europarlamento di alcuni anni fa, l’allora governatore della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, chiarì che in un solo caso le posizioni vanno saldate “all’istante”: in caso di uscita dall’euro di un paese.

Germania fuori dall’euro con la cassa

E torniamo allo scenario remoto della Germania fuori dall’euro. La Bundesbank avrebbe titolo per esigere dalla sera alla mattina tutti gli attuali 1.100 miliardi di crediti vantati. A pagare sarebbero le controparti dell’Area Euro. Presumibile che la Banca d’Italia sia una delle principali debitrici insieme all’istituto spagnolo. Guai seri per tutti. Per quanto teorica sia questa situazione – figuratevi se in un attimo tra banche centrali possano avvenire pagamenti per centinaia di miliardi di euro – l’ipotesi a Berlino resta affascinante. A differenza di un’eventuale Italexit, che equivarrebbe a spread, speculazione finanziaria contro la nostra nuova lira e a fuga dei capitali, i tedeschi sarebbero dalla parte forte del tavolo.

Guardate che l’idea di una Germania fuori dall’euro che si porta via la cassa non è di oggi, sebbene possa essere appioppata all’AfD. Negli anni caldi della crisi dei debiti sovrani, gli ambienti conservatori attorno all’ex cancelliera Angela Merkel studiarono formalmente questo piano B per simulare l’impatto di una “Dexit” sull’economia tedesca. E all’opinione pubblica arrivò il messaggio, in qualche caso, che rovesciare il tavolo non sarebbe poi un’ipotesi così male. L’euro-scetticismo è stato coltivato da coloro che oggi si stracciano le vesti contro l’AfD, ma che per anni soffiarono sul fuoco delle tensioni europee.

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