Il comparto oil & gas è stato deleterio per l’economia europea quest’anno. L’esplosione dei prezzi, perlopiù a seguito della guerra tra Russia e Ucraina, ha fatto schizzare i tassi d’inflazione nel Vecchio Continente a livelli che non si vedevano da quaranta anni a questa parte. I costi di produzione si sono impennati al punto da costringere i governi ad intervenire con sostanziosi aiuti fiscali per famiglie e imprese. Centinaia di miliardi di sussidi per impedire la desertificazione industriale e contenere i disagi sociali.

Nelle ultime settimane, il quadro si è evoluto positivamente. Il prezzo del gas ieri è tornato a scendere sotto 100 euro per Mega-wattora. Alla fine di agosto, era arrivato a toccare 340 euro. L’Europa ha appena concordato un tetto a 180 euro, al di là del quale smetterebbe di acquistare la materia prima. Anche questa intesa sembra affievolire le quotazioni.

Certo, siamo a 3-5 volte i livelli degli anni passati. Il gas resta carissimo in Europa, solo che è diventato meno caro rispetto ai mesi scorsi. E con l’arrivo dell’inverno non era scontato per niente. Anzi, si temeva l’esatto contrario. Ma le buone notizie stanno arrivando anche dal mercato del petrolio. Ieri, il Brent oscillava intorno agli 80 dollari al barile. Il cambio euro-dollaro restava sopra 1,06. Questo significa che acquistiamo un barile per circa 75,50 euro, il 10% in meno da fine novembre.

Sia il trend del gas che del petrolio stanno andando nella direzione di rallentare la corsa dell’inflazione nell’Area Euro. Non è un caso che l’intonazione delle borse è stata positiva ieri. Se i prezzi al consumo salgono meno velocemente, la Banca Centrale Europea non sarà costretta ad agire duramente sui tassi d’interesse. Ma c’è anche da dire che il rialzo dei prezzi avvenuto nei mesi passati è destinato a restare strutturale. A meno che petrolio e (soprattutto) gas tornino ai livelli degli anni passati, i costi di produzione non scenderanno.

Al massimo, cesseranno di aumentare ulteriormente o velocemente.

Prezzi del gas ancora alti

In altre parole, la perdita del potere di acquisto è da considerarsi definitiva. Solo nel caso in cui fosse seguita da una profonda deflazione, sarebbe compensata. Ma nessun analista o governo prevede un simile scenario. Ad esempio, in Italia dopo il presumibile +8% messo a segno dai prezzi quest’anno, si andrà verso un +4/5%. Per l’appunto, solo un rallentamento e non un indietreggiamento del costo della vita. Impensabile che i salari non siano adeguati nel tempo. E quando ciò accadrà, la pressione sui costi delle imprese si farà sentire ancora più forte.

Tornando a petrolio e gas, il ridimensionamento delle quotazioni dai massimi dei mesi passati è in sé una buona notizia, ma può essere sintomatica di una cattiva notizia. Il mercato sconterebbe un rallentamento dell’economia europea, tale da aspettarsi una domanda debole per il 2023. C’è il serio rischio che, in particolare, Germania e Italia entrino in recessione già da questo trimestre agli sgoccioli.

Infine, l’effetto cambio sta tornando a giocare a nostro favore. L’euro si rafforza e riduce il costo dei beni importati, tra cui del petrolio. D’altra parte, questa tendenza nei prossimi mesi potrebbe frenare la crescita dell’export italiano, che è stata determinante nel biennio ancora in corso per fare rimbalzare il nostro PIL più che altrove. E se la leva fiscale ha sostenuto ad oggi la domanda interna dopo circa un decennio asfittico, l’aumento dei tassi limita già i margini di manovra del governo, riducendoli al lumicino. I nuovi aiuti contro il caro bollette, pari a 22 miliardi con la manovra finanziaria in corso di approvazione in Parlamento, basteranno solo fino a marzo. Per i mesi successivi, si vedrà.

Ma certamente non resteranno così generosi. E se il gas non continua a calare, saranno dolori per gli italiani.

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