Finisce un’era durata anche fin troppo e che non ha lasciato in eredità risultati brillanti per l’economia nell’Eurozona. Oggi, la BCE riunisce i suoi membri esecutivi e il Consiglio dei governatori in Olanda. Segnalerà la svolta monetaria sui tassi d’interesse, il cui primo rialzo dal 2011 avverrà al board di luglio. Serpeggia ancora qualche dubbio sulla data di cessazione degli acquisti netti di asset condotti con il “quantitative easing”. Con ogni probabilità, sarà per la fine di questo mese.

Francoforte arriva a questo appuntamento come uno studente che ha perso il bus ed entra in classe con una ventina di minuti di ritardo, sotto gli occhi severi dell’insegnante.

Svolta monetaria dopo 11 anni

Tutte le principali banche centrali hanno iniziato ad alzare i tassi, dall’Australia al Canada, dalla Norvegia all’India, dagli USA al Regno Unito. Mancano all’appello solo BCE e Banca del Giappone. Ma mentre Tokyo è parzialmente giustificata per il fatto che l’inflazione nipponica ancora sia relativamente contenuta (2,5% ad aprile, dopo decenni di deflazione strisciante), Francoforte non ha davvero scuse.

L’inflazione nell’Eurozona è esplosa sopra l’8% a maggio e persino i salari negoziati stanno salendo ai massimi dal 2009: +2,82% a marzo. Nel frattempo, i rendimenti sovrani nell’area sono schizzati e il cambio euro-dollaro sembra almeno avere interrotto la caduta, viaggiando in area 1,07. In salita anche i tassi sui prestiti, particolarmente in Germania. In sostanza, il mercato si è portato avanti. Da mesi sconta l’arrivo della stretta sui tassi BCE, di fatto sostituendosi a una colpevole banca centrale in fuga dalla realtà.

L’esito della riunione di oggi potrà essere duplice: sorprendere in senso “hawkish” il mercato e indurlo a scontare una stretta monetaria più vigorosa; “raffreddare” le aspettative sui tassi e “surriscaldare” per contro quelle sull’inflazione. Nel primo caso, i rendimenti sovrani salirebbero ulteriormente, così come gli spread.

Il cambio euro-dollaro si spingerebbe verso quota 1,10 e i tassi su mutui e prestiti continuerebbero a lievitare. Dunque, un impatto restrittivo per l’economia. L’alternativa, però, non sarebbe migliore: rendimenti giù o stabili, euro indebolito e inflazione nei prossimi mesi ancora più alta. La caduta del potere d’acquisto delle famiglie colpirebbe i consumi e ci porterebbe finanche in recessione.

Tassi BCE e rischio recessione

Dicevamo, finisce un’era. E da rimpiangere abbiamo poco o nulla. Tassi reali e persino nominali negativi hanno ucciso il risparmio senza spronare alla crescita. Se non fosse stato per pandemia prima e guerra adesso, non avremmo neppure raggiunto il target d’inflazione, sfuggente da inizio 2013 fino a pochi mesi fa. Le politiche non convenzionali di questo lungo decennio sono servite semplicemente a finanziare debitori pubblici e privati in affanno, al costo di drenare ricchezza da coloro che la creano con i loro sacrifici, ossia i risparmiatori.

Ma la fine di quest’era dei tassi a zero non sarà indolore. I debitori sono stati indotti a indebitarsi ancora di più e per molti di loro la sostenibilità finanziaria risulta a rischio con l’aumento del costo del denaro. Ciò richiederà tra l’altro l’adozione di politiche fiscali più restrittive. Ne consegue un mix potenzialmente recessivo. La BCE di Christine Lagarde spera in cuor suo proprio di provocare un incendio controllato: colpire l’economia per “raffreddare” l’inflazione, ma non in misura tale da alimentare tensioni sociali e politiche. Una missione quasi impossibile.

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