All’ultimo board di giugno della Banca Centrale Europea (BCE), i membri si sono ritrovati d’accordo circa la necessità di operare una svolta in politica monetaria non appena se ne presenteranno le condizioni. Per essere più espliciti, dai verbali della riunione resi noti ieri è emerso che, così come Francoforte non avrà dubbi nel proseguire la stretta sui tassi d’interesse nell’Eurozona in presenza di dati macro che lo richiedessero, altrettanto accadrebbe nel caso contrario. E’ stata formalmente rispettata quella “simmetria” invocata dal governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco.

Questi era stato critico contro i colleghi del Nord Europa, i quali nelle settimane passate avevano dichiarato che sarebbe preferibile fare di più del necessario, anziché fare di meno.

Ma le parole di Visco risalgono alla settimana scorsa, cioè a settimane dopo che si era tenuta la riunione della BCE. Evidentemente, l’accordo di facciata cela una discordia più sostanziale circa le prossime mosse. Il punto è che la Federal Reserve potrebbe porre fine alla stretta monetaria dopo che l’inflazione negli Stati Uniti è stato accertato essere scesa già al 3% a giugno, pur a fronte di un dato “core” ancora al 4,8%. Nell’Eurozona siamo rispettivamente al 5,5% e al 5,4%, con una discesa non così certa di mese in mese a differenza di Oltreoceano.

Quando la BCE aumenterà i tassi di interesse a fine mese, avrà ancora a disposizione come ultimo disponibile ancora il dato di giugno. Significa che per allora il dibattito in seno al board non potrà compiere rilevanti passi in avanti nell’una o nell’altra direzione. Ci saranno da un lato i “falchi” che manterranno la convinzione sulla necessità di continuare con la stretta, dall’altro le “colombe” che inviteranno a verificare prima gli effetti delle decisioni passate.

Tassi di interesse, svolta possibile solo a settembre

Grosso modo, ci aspettiamo che questo sarà il clima fino a tutto agosto.

La storia prenderebbe una piega diversa solo dagli inizi di settembre, in previsione del board di giorno 14. Per allora la BCE avrà a disposizione i dati sull’inflazione anche di luglio e agosto, sul PIL nell’Eurozona nel secondo trimestre, nonché le nuove proiezioni macroeconomiche per il triennio 2023-2025. Tra due mesi esatti, in buona sostanza, il puzzle sarà quasi completo. I componenti del board, al di là delle loro convinzioni personali, saranno nelle condizioni di giungere a un accordo meditato sui tassi di interesse.

Se l’inflazione sarà scesa a luglio e ad agosto in misura convincente e se al contempo i dati macro saranno indirizzati perlopiù verso un rallentamento, molto probabile che la BCE rinunci a proseguire la stretta. A maggior ragione se nel frattempo il cambio euro-dollaro si sarà consolidato sopra la soglia di 1,10. Tutto deporrebbe a favore di un’emergenza finita. Se, invece, l’inflazione resterà elevata e con andatura incerta e, tutto sommato, l’economia si mostrerà resiliente, le probabilità di un ultimo ritocco ai tassi di interesse a settembre diverrebbero alte. E in questo caso, ciliegina sulla torta sarebbe un eventuale cambio euro-dollaro debole.

Ad oggi, quando siamo neppure alla metà di luglio, i segnali sembrano indirizzati verso un indebolimento sia dell’inflazione che dell’economia. Ma la prima resta alta anche in un’ottica di medio-breve termine. Dunque, esistono buone argomentazioni a favore dei “falchi”. Quasi certo, comunque, che il comunicato post-board del 27 luglio non conterrà indicazioni sulle misure che saranno prese a settembre. Sarà ribadita la linea “data dependent”, che è il contrario della “forward guidance” dell’era Draghi, un modo per non vincolarsi a posizioni preconcette. La temperatura politica potrebbe scaldarsi ulteriormente a fine mese, quando non solo il governo Meloni avranno da ridire sull’ulteriore aumento dei tassi di interesse varato.

Ma questo formalmente non tange la BCE.

[email protected]