Se facessimo rileggere a Christine Lagarde le sue dichiarazioni di un anno fa sull’inflazione nell’Area Euro, probabilmente arrossirebbe per l’imbarazzo. Il governatore della Banca Centrale Europea (BCE) per mesi negò che vi fosse un problema di carovita. E questo, nonostante già nella primavera dello scorso anno la crescita tendenziale dei prezzi sfiorasse il 7,5%. Dovremo attendere il mese di giugno per arrivare alla svolta. Al board di quel mese, Francoforte annunciò che avrebbe alzato i tassi dal mese successivo.

In altre parole, quando iniziava la stretta monetaria, l’inflazione nell’area era già salita a quasi il 9%. Avrebbe continuato ad accelerare fino al picco del 10,6% di ottobre.

Per Lagarde l’alta inflazione era un fenomeno “transitorio”, dettato da ragioni contingenti. La stabilità dei prezzi non era a rischio. Oggi, è costretta ad affermare l’esatto contrario. Non solo ha confermato che a marzo i tassi probabilmente saliranno di un altro 0,50%, ma ha messo le mani avanti sui nuovi rialzi nei prossimi mesi. Il rischio, spiega, è che l’inflazione resti alta per un periodo prolungato.

Lagarde di oggi smentisce Lagarde di un anno fa. La BCE è stata tra le grandi banche centrali l’ultima ad intervenire nella lotta all’inflazione. Il costo di tale ritardo lo stanno pagando in questi mesi le famiglie. I buoi sono scappati dalla stalla e la frenata dei prezzi appare ormai più difficile di quanto verosimilmente sarebbe stato con un intervento tempestivo. E poiché bisogna riparare all’errore di un anno fa, adesso i tassi d’interesse dovranno salire a livelli più alti. Chi ha un mutuo a tasso variabile con la banca, dovrà sostenere una stangata maggiore di quella che si sarebbe resa necessaria contrastando sin da subito l’inflazione.

BCE di Lagarde senza visione

E’ vero che Lagarde non è una monarca assoluta. Le decisioni di politica monetaria alla BCE sono assunte sempre a larghissima maggioranza dei componenti del board e, quindi, quando il consenso attorno ad esse risulta elevato.

Non possiamo prendercela solo con l’incompetenza del governatore. Ma è anche vero che da quando la francese si è insediata a capo dell’istituto nell’ottobre del 2019, ha cercato di ritagliarsi un ruolo di mediatrice, anziché di guida. Forse è consapevole dei propri limiti accademici – non è un’economista, bensì una giurista di fama internazionale – e per questo punta a fare da trait d’union tra “falchi” e “colombe”.

Questa sua posizione tendenzialmente “super partes”, tuttavia, ha privato la BCE di un leader nel momento del bisogno. Il governatore non è un “primus inter pares”. Egli o ella deve assumersi la responsabilità di scelte non sempre condivise inizialmente e deve imprimere una direzione alla politica monetaria. Fu così con Mario Draghi. L’italiano cambiò pelle all’Eurotower, s’intestò la paternità di numerose misure non ortodosse, sfidando ire e dubbi della potente Bundesbank. Lagarde è, invece, un semplice collettore delle preferenze nel board senza una sua visione personale. Fino a quando non ha ricevuto il mandato chiaro di uscire dall’estremo accomodamento monetario per cercare di abbattere l’inflazione, non si è mossa.

Una siffatta BCE rischia di intervenire sempre in ritardo e di risultare poco convinta quando si pronuncia ufficialmente. Con quale credibilità oggi Lagarde ci viene a parlare della necessità di continuare ad alzare i tassi, quando fino a otto mesi fa li teneva sottozero per i depositi delle banche? Come può credibilmente tagliare il bilancio, se fino al giugno dello scorso anno, cioè nel pieno di una crisi inflattiva, continuava ad acquistare bond?

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