Sono 4 milioni i cittadini che si sono registrati per le elezioni in Libano di oggi, di cui centinaia di migliaia hanno già votato nell’ultima settimana dall’estero. Un appuntamento neppure tanto atteso dal popolo, che ormai non si aspetta proprio nulla da questa classe politica. Il Libano sta vivendo da circa due anni e mezzo quella che la Banca Mondiale ha definito “una delle tre peggiori crisi dell’economia di sempre nel mondo”. In default da marzo 2020, il PIL è crollato del 60% in due anni, portando in povertà l’80% delle famiglie.

E la metà di esse vive in povertà assoluta. E se anche le economie più ricche in questi mesi sono alle prese con la bestia dell’inflazione, nulla a che vedere con quanto sta accadendo qui da ben prima che la pandemia dispiegasse i suoi effetti. I prezzi al consumo, pur in lieve rallentamento, continuano a crescere al ritmo di quasi il 210% su base annua.

Elezioni in Libano dopo 30 mesi di crisi spaventosa

Le elezioni in Libano non potranno risolvere la crisi dell’economia, semplicemente perché a generarla è stata la politica. Era il mese di ottobre del 2019 e le proteste di massa contro la corruzione portarono alle dimissioni il governo dell’allora premier Saad Hariri, mettendo in fuga i capitali stranieri. Il successore Hassan Diab rimase al potere fino all’agosto dell’anno successivo, quando una potente esplosione al porto di Beirut provocò la distruzione di migliaia di edifici e la morte di centinaia di innocenti. Da allora e fino al settembre scorso, il paese era rimasto praticamente senza un governo. E tutto questo mentre la crisi divorava i redditi e faceva collassare il cambio. A fronte di un tasso ufficiale di circa 1.510 lire per un dollaro, al mercato nero si arriva a 27.000 lire contro un dollaro.

Il settarismo è il male numero uno del Libano.

Per Costituzione, il presidente deve essere un cristiano, il premier un mussulmano sunnita e il presidente del Parlamento un mussulmano sciita. Questo sistema, che avrebbe dovuto mantenere la pace interna, ha portato alla paralisi con ostracismi e veti incrociati di tutti contro tutti. Basti pensare per l’appunto ai 13 mesi necessari per assegnare l’incarico all’attuale premier Najib Mikati.

Milioni di persone a rischio fame

Chi pensa che il peggio per il Libano sia alle spalle, potrebbe ricredersi. La Banca Mondiale ha da poco staccato un assegno di 150 milioni di dollari per fronteggiare la crisi alimentare a Beirut. Tuttavia, la Banca del Libano dispone di appena 12 miliardi di dollari tra le riserve valutarie e queste si stanno riducendo al ritmo medio di 500 milioni al mese. Per questo, le importazioni sono ridotte al minimo necessario e presto il nuovo governo potrebbe trovarsi costretto a tagliare anche i sussidi per la farina. Se accadesse, milioni di persone subirebbero i contraccolpi del boom dei prezzi, con l’inevitabile accelerazione ulteriore dell’inflazione. Ma non sembra vi siano alternative.

Del resto, le elezioni in Libano non porranno fine allo spandi e spendi di una classe politica, che dal 2014 ha accumulato debiti per 82 miliardi di dollari, a fronte di un PIL culminato nel 2019 a 55 miliardi. Per giunta, con la guerra l’Ucraina non sta potendo esportare circa 25 milioni di tonnellate di grano e cereali raccolti. Beirut avverte che potrebbe doversi rivolgere ad altri fornitori più costosi. Ecco perché l’astensione oggi potrebbe essere elevata. In pochi credono che le cose miglioreranno da domani, chiunque vincesse stasera.

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