Sessanta milioni di cittadini sono chiamati oggi a rinnovare i 600 seggi del Parlamento e votare per il nuovo capo dello stato. E per la prima volta dopo venti anni il presidente uscente Recep Tayyip Erdogan rischia di perdere le elezioni in programma oggi in Turchia. Lo sfidante Kemal Kiricdaroglu è leggermente avanti nei sondaggi, sebbene il vantaggio nelle ultime settimane si sarebbe ristretto a un paio di punti percentuali. Se nessuno arrivasse a conquistare almeno il 50% dei consensi validi, tra due settimane si terrebbe il ballottaggio tra i primi due candidati più votati.

Erdogan rincorre. Non era mai accaduto sin dalla sua ascesa al potere nel 2003. Prima da premier e poi da presidente, l’attuale 69-enne era stato sempre l’uomo forte di ogni tornata elettorale. A tradirlo è stavolta proprio il suo principale cavallo di battaglia: l’economia. Pur in calo, l’inflazione ad aprile era al 43,68%. Ad ottobre aveva superato l’85%. Per alcune analisi indipendenti, però, ancora oggi il rialzo dei prezzi sarebbe nell’ordine di oltre il 100%. E la lira turca ha perso il 90% del suo valore i dieci anni. Nel solo ultimo anno, segna un crollo del 25% contro il dollaro. E dire che la banca centrale ha prosciugato le riserve valutarie per frenare la crisi del cambio. Non ha aiutato certamente neppure il devastante terremoto di febbraio nel sud del paese, che ha provocato solamente tra i turchi 46.000 vittime. I soccorsi non sono stati giudicati rapidi ed efficaci e il governo è stato accusato di avere favorito costruzioni insicure.

Elezioni in Turchia, Erdogan punta sulla “riconoscenza”

Un’eventuale sconfitta alle elezioni in Turchia sarebbe solo colpa di Erdogan. Nessuno avrebbe potuto insidiare il suo strapotere fino a uno o due anni fa al massimo. Solo che il presidente, ad un certo punto, ha ben pensato di fare di testa sua sull’economia.

Dopo avere favorito lo sviluppo e l’indubbia modernizzazione del paese a colpi di investimenti infrastrutturali, liberalizzazioni e apertura ai commerci con il resto del mondo, ha massacrato la lira turca imponendo alla banca centrale una politica dei bassi tassi scriteriati. Mentre l’inflazione galoppava verso il 100% nei mesi scorsi, il governatore Sahap Kavcioglu tagliava il costo del denaro fino all’8,5%.

La fuga dei capitali faceva collassare il cambio e ciò, a sua volta, attizzava il fuoco dell’inflazione. Il ceto medio si sta impoverendo a causa di queste manovre ed Erdogan ha promesso nel corso di un comizio elettorale di alzare il salario minimo del 45% e le pensioni di 2.000 lire al mese, qualcosa come 90 euro al cambio attuale. C’è una grandi incognita che probabilmente i sondaggi non captano del tutto: il senso di riconoscenza di milioni di famiglie ad Erdogan per l’aumento di benessere goduto negli ultimi venti anni. Il paradosso di molti cittadini a queste elezioni in Turchia sta nel fatto di essere consapevoli di aver migliorato la propria condizione economica sotto il presidente. Allo stesso tempo, capiscono che devono alle sue politiche eterodosse la perdita di benessere degli ultimi tempi.

Verso svalutazione della lira

Il fatto è anche che l’eventuale politica economica di Kiricdaroglu resta un mistero. I sei partiti che lo sostengono vanno dalla destra nazionalista alla sinistra kemalista, sostenuti dall’esterno anche dai filo-curdi. Tutto e il contrario di tutto. Il candidato fa sapere che, in caso di vittoria, tornerebbe a una politica economica ortodossa, che rafforzerebbe la lira turca e si riavvicinerebbe all’Occidente. Basta questo per rassicurare milioni di turchi? Un assist ad Erdogan potrebbe arrivare dal voto all’estero, con ben 1,5 milioni di elettori solo in Germania. Non vivendo le problematiche quotidiane dei loro connazionali in patria, il consenso verso il presidente uscente tra loro risulta essere ancora solido.

Gli investitori stranieri restano alla finestra. C’è il timore che Erdogan non accetti l’eventuale sconfitta e che nel paese si scatenino violenze tra i due schieramenti contrapposti. In ogni caso, sono gli stessi cittadini a prevedere la svalutazione della lira dopo le elezioni in Turchia. Inevitabile per impedire che la banca centrale resti a secco di valuta estera. Le linee di swap garantite dagli stati del Golfo Persico non possono essere rinnovate all’infinito. Al Gran Bazar di Istanbul, il cambio nelle ultime settimane è stato fino al 7% più debole del tasso ufficiale. Segno tangibile del pessimismo dell’uomo della strada verso il futuro a brevissimo termine dell’economia. Del resto, lo stesso team di Kiricdaroglu non promette miracoli: la ripresa sarebbe possibile nell’arco di cinque anni!

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