“Cosa facciamo, abbandoniamo l’Egitto per via della crisi? Per caso abbiamo fatto guerre inutili o sprecato i soldi?”. Parole forti e sintomatiche della grave crisi in corso nello stato nordafricano quelle pronunciate qualche giorno fa dal presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi in occasione di una conferenza pubblica e alla presenza del premier Mostafa Mabdouly. Per la terza volta in dieci mesi, la banca centrale ha dovuto procedere con la svalutazione del cambio. La lira egiziana perde in un anno il 43%.

Al tasso ufficiale servono adesso 27,70 lire per un dollaro, un anno fa 15,70. Ma sul mercato nero siamo su 31 lire per un dollaro, per cui servirebbe indebolire ulteriormente il cambio di almeno il 10%.

A dicembre, cioè prima dell’ultima svalutazione del cambio, l’inflazione è salita al 21,3% dal 18,7% del mese precedente, ai massimi da fine 2017. Boom dei prezzi di cibo e bevande del 37%. Un dato allarmante per un paese, dove il 30% della popolazione vive sotto la soglia della povertà. La banca centrale aveva fissato un target d’inflazione al 7% più un margine di tolleranza del 2% entro il 2024. Adesso, però, alcuni analisti indipendenti temono che possa raggiungere fino al 25%, trainando al rialzo i rendimenti governativi.

Dal canto suo, il presidente al-Sisi sta cercando di correre ai ripari. Dopo avere ottenuto 3 miliardi di dollari dal Fondo Monetario Internazionale (FMI) e l’allungamento dei prestiti precedenti di quasi quattro anni, ha disposto forti restrizioni ai viaggi all’estero dei componenti del governo. C’è anche il “congelamento” dei progetti infrastrutturali, specie quelli che prevedono l’utilizzo di valuta straniera. Tutto, pur di ridurre al minimo la domanda di dollari. Alla popolazione, comunque, ha spiegato che ci saranno “tempi duri” da affrontare.

Svalutazione del cambio per ottenere prestiti FMI

La svalutazione del cambio è stata la mossa obbligata sia per ottenere nuovi prestiti dall’FMI, sia per cercare di rispondere all’alta domanda di valuta estera sul mercato nero.

Ad oggi, non basta. E per l’Egitto si sta innescando la pericolosa spirale svalutazione-inflazione-svalutazione, che rischia di fomentare tensioni sociali e di portare l’economia sul baratro. Finché non attecchirà la fiducia sulla lira e, in generale, sulla gestione monetaria, le aspettative d’inflazione non si “raffredderanno” e neppure quelle con riferimento al tasso di cambio.

La banca centrale ha alzato i tassi d’interesse al 16,25%. Nei giorni scorsi, ha anche emesso certificati al tasso del 25%, una mossa che preludeva all’imminente svalutazione del cambio. Ma l’economia sta accusando nell’ultimo anno anche il contraccolpo della guerra russo-ucraina. La dipendenza dell’Egitto dal grano della Russia ha provocato una carenza di generi di prima necessità e annesso aumento dei prezzi. Per sua fortuna, l’FMI ha promesso altri 14 miliardi di finanziamenti nel caso di necessità. Ma questo immenso flusso di denaro affluirà al Cairo solamente dietro riforme economiche. Il loro varo iniziò già nel 2016. Anche allora la banca centrale intervenne con la svalutazione del cambio. Non è bastata da sola a rimettere il paese in carreggiata.

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