E anche sul Superbonus è sempre più scontro tra la premier Giorgia Meloni e l’ex premier Giuseppe Conte. Nell’attesa che il Partito Democratico partorisca il suo millesimo segretario in neppure sedici anni, a fare la voce grossa per le opposizioni è il Movimento 5 Stelle. I “grillini” (giusto ancora definirli così?) hanno puntato tutte le loro carte in campagna elettorale sul reddito di cittadinanza per non sparire dal Parlamento. Ci sono riusciti. Il loro secondo cavallo di battaglia è stato e resta il Superbonus.

Motivo di orgoglio per chi, come l’allora ministro dello Sviluppo, Stefano Patuanelli, concepì un maxi-incentivo per far ripartire il settore delle costruzioni dopo la fase drammatica della pandemia. Servivano azioni shock per far rimbalzare il PIL. E l’attuale sindaco di Roma, allora ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, sigillò l’iniziativa. “Yes, we can”.

Sono passati trentatré mesi da quando in diretta televisiva Conte annunciò agli italiani che avrebbero potuto ristrutturare casa gratis. Quella stessa sera, i telefonini di migliaia di titolari di ditte esplosero di chiamate da parte di numerosi potenziali clienti. Servirono cinque mesi per emanare i decreti attuativi. Nel frattempo, nessuno realizzò lavori per cercare di sfruttare il Superbonus quando sarebbe stato pronto. Paradosso volle, quindi, che l’iniziativa, anziché favorire la ripresa delle costruzioni, in una prima fase affossò il settore. Poi, dalla fine del 2020 i primi progetti e l’avvio dei cantieri.

Danni da scarsa comprensione dell’economia

L’avventura del Superbonus durò quasi un anno senza grossi intoppi normativi. A febbraio del 2021, il nuovo premier Mario Draghi si mostrò contrario, ma dovette accettare le richieste della sua larga maggioranza. Fu il decreto anti-frodi nel novembre 2021 ad avere assestato la prima botta ai bonus. Le truffe dilagavano per lavori mai realizzati, spesso neppure avviati. Ma, soprattutto, il meccanismo alla base del Superbonus stava facendo esplodere prezzi e debiti a carico dello stato.

Lo sconto in fattura e la possibilità di realizzare i lavori senza anticipare un solo euro misero fuori gioco il mercato. I clienti neppure guardavano i preventivi. Li accettavano e basta. Tanto a pagare era lo stato.

Al febbraio di quest’anno, i costi a carico dei conti pubblici risultano saliti a 110 miliardi di euro, quasi il 6% del PIL. Le previsioni parlano di 120 miliardi. Meloni ha così affermato che il Superbonus sarebbe costato 2.000 euro per ciascun residente in Italia, neonati compresi. Conte eccepisce che il maxi-incentivo abbia favorito la ripresa dell’economia italiana e si sarebbe ripagato grazie al maggiore gettito per lo stato. Dove sta la verità? Chi ha studiato economia, sa che non esiste né un taglio delle tasse e né una spesa che si ripaghino del tutto. Chi lo afferma, o è in malafede o, come nel caso dei “grillini”, con ogni probabilità non sa di cosa cianci.

Questa è la premessa teorica e vale per destra e sinistra. Poi, c’è la concretezza dei fatti. Il Superbonus ha eliminato qualsiasi meccanismo di mercato nel processo di formazione dei prezzi. Basta chiedere a chi ha cercato in questi anni di realizzare anche piccoli lavori senza bonus, quali preventivi ha dovuto leggere. I prezzi sono letteralmente impazziti e fuori dal giro dei bonus non c’è stata più vita. Il resto lo ha fatto la concentrazione temporale dei lavori, che ha reso l’offerta estremamente scarsa rispetto alla domanda. Infine, il problema della circolazione dei crediti. Esaurita la capienza fiscale, le banche non li hanno più accettati e molte imprese si sono ritrovate con cassetti fiscali pieni. E’ cresciuta la pressione sullo stato per sbloccarli, come se la cedibilità illimitata dei crediti fosse un diritto.

Superbonus moneta fiscale mascherata

La verità è che con il Superbonus l’Italia ha sperimentato una sorta di moneta fiscale senza avere il coraggio di ammetterlo.

In pratica, debiti emessi all’infuori della contabilità nazionale. Poi, puntuale è arrivato l’appuntamento con la realtà. Per l’Eurostat i crediti vanno conteggiati come deficit. Dunque, contrariamente a quanto sostengono Conte e la sua cerchia, il Superbonus ha prodotto formalmente 110-120 miliardi di deficit. E non serviva l’Eurostat per capirlo. Quando proponi una legge di spesa, in Parlamento non la presenti adducendo che essa si auto-finanzi. Ammesso che sia vero, nel frattempo devi trovare le coperture finanziarie. Cosa non accaduta. Dunque, nell’immediato è stato provocata una voragine nei conti pubblici. E adesso va stabilito in quale-i anno-i farla ricadere formalmente.

Se Conte avesse creduto nella bontà del Superbonus ai fini del sostegno all’economia, avrebbe potuto approfittare dei 200 miliardi del PNRR per inserirlo tra le misure finanziate con prestiti e sussidi europei. Invece, niente di niente. Il motivo è semplice: Bruxelles non avrebbe mai avallato uno strumento del genere, distorsivo dei prezzi e fonte di speculazione edilizia. Avrebbe chiesto modifiche e il governo “giallo-rosso” si sarebbe trovato in imbarazzo ad accettarle. L’idea di incentivare le ristrutturazioni green e anti-sismiche è lodevole. Non hanno funzionato i meccanismi. Del resto, il ministro dell’Economia del tempo non era un economista, bensì un docente di storia. Quando l’uomo qualunque dice che ognuno deve fare il proprio mestiere, non sbaglia.

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