Nel nostro consueto approfondimento, abbiamo scelto di riportare l’interessante tema della fast fashion, più che mai attuale visti i giorni di shopping sfrenato che ci siamo messi alle spalle e quelli che ancora dovranno venire da qui a prima di Natale. Lo spunto ce lo regala un’analisi profonda di Mark Sumner, docente universitario di Sostenibilità, Moda e Retail alla Leeds University, pubblicata per la prima volta su The Conversation e ripresa da diversi portali italiani, tra cui anche Business Insider nella traduzione a cura di Emanuele Orlando.

Il costo della fast fashion

Cosa c’è dietro lo sviluppo di una semplice t-shirt? Da questa semplice domanda, il docente Mark Sumner ha preso spunto per il suo pezzo, sottolineando come anche i prodotti della fast fashion siano responsabili del 10% delle emissioni globali di anidride carbonica, che a sua volta finisce spesso sul banco degli imputati per i danni ecologici e sociali.

A questo si aggiunge la coltivazione di cotone, il materiale con cui è realizzato la maggior parte delle magliette a maniche corte: non tutti sanno che tale coltivazione consumi il 6% dei pesticidi mondiali, i quali avvelenano animali, piante e persone. Restando in tema, la coltivazione di cotone avviene in nazioni del mondo colpite in maniera pesante dalla siccità, e necessita di oltre 7.000 litri d’acqua, quando invece un contadino che vive in quella stessa terra disponibile soltanto tra i 10 e 20 litri d’acqua al giorno.

Nella sola Cambogia, l’industria della moda – che rappresenta l’88 per cento della manifattura industriale – è responsabile del 60 per cento dell’inquinamento dell’acqua.

Arriviamo alle conclusioni: per produrre una semplice maglietta, sono necessari 2,6 kg di anidride carbonica, che equivalgono a 14 km percorsi da un’automobile; un terzo dell’impatto climatico è rappresentato dal lavaggio, stiratura e asciugatura dei vestiti; 350 mila tonnellate di vestiti ogni anno vengono buttati in discarica, 40 miliardi di sterline resta in invece dentro l’armadio.

Il fenomeno della fast fashion

La fast fashion racchiude tutti quei marchi di abbigliamento che mettono in commercio prodotti di bassa qualità a prezzi irrisori, puntando su un rinnovamento frenetico delle collezioni. Anche quest’anno, nonostante la pandemia di coronavirus abbia reso il Black Friday (e le settimane di contorno) meno speciale (tra virgolette) rispetto al passato, la fast fashion si è confermata come un trend assolutamente vincente. In Inghilterra, ad esempio, ha fatto discutere la scelta di un distributore inglese che ha venduto un abito a 8 pence, che in euro equivalgono a meno di 10 centesimi.

Vedi anche: Shopping in crisi e fast fashion: il caso Primark che punta ai negozi fisici

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