Con il Decreto del Ministero di economia e finanze (MEF) del 13 dicembre 2022, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n.292 del 15 dicembre 2022, il tasso d’interesse legale per il 2023 è stato fissato al 5%. E si tratta del livello più alto da venticinque anni a questa parte. Bisogna tornare indietro al biennio 1997-’98 per trovare un saggio uguale, in effetti. E l’impennata rispetto all’anno agli sgoccioli risulta evidente. Per tutto il 2022, il tasso d’interesse legale è stato fissato all’1,25%. L’anno prima era sceso al minimo storico dello 0,01%.

Anzitutto, capiamo cosa s’intende per tasso d’interesse legale. Il Codice Civile lo prevede per le obbligazioni tra privati all’art.1282, in relazione a “crediti liquidi ed esigibili”. Lo stato impone altresì i tassi moratori sui debiti del contribuente non onorati entro le scadenze.

L’esplosione del tasso d’interesse legale non è un capriccio del MEF. La sua determinazione è legata al rendimento medio dei Buoni ordinari del Tesoro (BoT) fino a 12 mesi nell’anno, tenuto anche conto del tasso d’inflazione. Se entro il 15 dicembre il MEF non pubblica il decreto per la fissazione del tasso d’interesse legale per l’anno seguente, questi resta invariato.

Evadere le tasse costa di più

In altre parole, pagare le imposte in ritardo sarà molto più caro. E questo dovrebbe farci pensare due volte prima di “dimenticare” una scadenza tributaria. D’altra parte, con un’inflazione italiana a quasi il 12%, il tasso d’interesse legale al 5% resta profondamente negativo. Tuttavia, prima delle dimissioni il governo Draghi aveva impostato una Nota di aggiornamento al DEF con la previsione di un’inflazione in Italia al 4,3% per il 2023. Se la stima sarà rispettata, il tasso d’interesse legale al 5% tornerà positivo in termini reali dopo svariati anni. E’ accaduto molto di rado con il nuovo millennio.

E sarebbe questa la vera novità.

Non pagare un tributo al Fisco rischia di costarci caro per davvero. Negli ultimi decenni, è avvenuto quasi sempre il contrario, ovvero che una “dimenticanza” finiva per convenire al contribuente. Egli è stato chiamato perlopiù a pagare un interesse legale inferiore al tasso d’inflazione, cioè negativo in termini reali.

D’altra parte, nulla di paragonabile con il periodo dell’inflazione galoppante negli anni Settanta e Ottanta. A fronte di una perdita del potere di acquisto al ritmo fino a oltre il 20% all’anno, il tasso d’interesse legale rimase fisso al 5% tra il 1942 e il 1990. Chissà se la cattiva abitudine di molti contribuenti italiani di non pagare le tasse dovute non sia dipesa anche da queste distorsioni. Praticamente, i tassi reali applicati dal Fisco furono finanche del -15% o più bassi.

Interesse legale, regime capitalizzazione semplice

Tra la fine del 1990 e il 1996, invece, l’interesse legale fu raddoppiato al 10%. Dopodiché scese quasi costantemente, riflettendo un’economia disinflazionata con l’ingresso dell’Italia nell’euro. Certo è che la quadruplicazione per il prossimo anno è segno dei tempi. L’inflazione è tornata a farsi sentire dopo diversi decenni di inabissamento. Cambiano i listini prezzi e anche lo stato aggiorna i suoi per i contribuenti morosi. La buona notizia è che l’interesse legale si calcola con il regime di capitalizzazione semplice, cioè non produce a sua volta interessi.

Per capire la differenza, vi proponiamo un esempio elementare. Il signor Mario Rossi dimentica di pagare un tributo dell’importo di 1.000 euro. Lo fa dopo due anni esatti dalla scadenza, nel corso dei quali l’interesse legale è stato sempre del 5%. Pagherà i 1.000 euro dovuti più 100 euro a titolo di interesse legale. Per ogni anno, infatti, questo è stato pari a 50 euro (5% di 1.000). Se lo stato avesse applicato il regime composto, avrebbe pagato 1.102,50 euro in tutto. Infatti, i primi 50 euro di interesse legale avrebbero fruttato a loro volta interessi sempre al 5%, pari a 2,50 euro.

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