E’ stato accolto positivamente dal mercato il calo dell’inflazione nell’Eurozona per il mese di novembre al 2,4%. L’indice dei prezzi al consumo nell’area tende a crescere sempre più in prossimità del target fissato dalla Banca Centrale Europea (BCE), che è del 2% all’anno. Molto difficile che a dicembre questa possa annunciare un nuovo aumento dei tassi di interesse dopo la pausa di ottobre. Anzi, gli investitori iniziano a scontare apertamente lo scenario opposto, ovverosia di un taglio dei tassi già nei primissimi mesi dell’anno prossimo.

Christine Lagarde e i membri del board cercano (invano) di “raffreddare” tali aspettative, sostenendo che l’allentamento monetario non sia ancora neppure sul tavolo.

Per quanto le comunicazioni dei governatori siano un bluff per evitare che il mercato migliori con eccessivo anticipo le condizioni finanziarie, qualche difficoltà nell’affrontare la svolta la BCE ce l’avrebbe allo stato attuale. Ieri, è emerso che a novembre l’inflazione è stata dello 0,7% in Italia, facendo riferimento al dato armonizzato. E’ risultato tra i più bassi dell’area. Il più alto è stato in Slovacchia al 6,9%, in Croazia al 5,5% e in Austria al 4,9%.

Divario su tassi d’inflazione tra paesi dell’euro

Limitandoci alle grandi economie, quelle che hanno un peso politico maggiori nel board della BCE, in Germania l’inflazione è scesa al 2,3%, in Francia al 3,8% e in Spagna al 3,2%. I nostri principali eventuali alleati nel chiedere un taglio dei tassi a breve – Francia e Spagna – non sembrano nelle nostre stesse condizioni di reclamarlo subito. I loro prezzi continuano a salire ben sopra il target del 2%. La stessa Austria ha ancora un’inflazione troppo elevata per far pendere la bilancia dalla parte delle “colombe”.

Nei giorni scorsi, il suo governatore Robert Holzmann aveva chiarito un concetto: prossimamente si esprimeranno a favore di un taglio dei tassi quei paesi con un’inflazione nel frattempo scesa a livelli bassi, mentre gli altri saranno contrari.

La Bundesbank è certamente il componente di maggior peso nel board. Il suo governatore Joachim Nagel non si è finora discostato granché dalla linea dell’ortodossia, invitando alla cautela sulla fine del ciclo rialzista. Certo, il calo dell’inflazione tedesca sarebbe tale da far immaginare resistenze non insuperabili alla richiesta che si ponga fine all’aumento dei tassi.

Taglio tassi BCE non scontato a breve

Detto ciò, non diamo per scontato che a breve inizi il dibattito sul taglio dei tassi. Volendo pronosticare che i governatori si schierino pro o contro tale opzione in base ai livelli d’inflazione nei rispettivi paesi, abbiamo al momento una situazione di perfetta parità: 10 a 10. Abbiamo annoverato tra le “colombe” tutti coloro che rappresentano paesi con tassi d’inflazione sotto o attorno al target del 2%. Tra queste, persino la Bundesbank. Gli altri li abbiamo inseriti tra i “falchi”.

Capite bene che una svolta monetaria non si possa adottare in maniera così divisiva. Servirebbe un consenso preponderante, cioè almeno una quindicina di governatori su venti dovrebbero acconsentire. E al momento non sembra che questi siano i numeri. Chiaramente, quando il dibattito entrerà realmente nel vivo, i dati sull’inflazione e sul PIL potranno essere tali da abbattere ogni resistenza. L’economia francese si è contratta nel terzo trimestre, lo stesso quella tedesca. Il rischio recessione è aumentato nell’intera area. Al board di gennaio i toni alla BCE potranno cambiare.

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