La legge di Bilancio sta per passare al vaglio del Consiglio dei ministri prima di essere inviata alla Commissione europea e al Parlamento italiano per essere discussa e approvata entro dicembre. E’ la legge fondamentale dello stato, che regola le entrate e le spese durante l’intero esercizio fiscale. Dovrebbe ammontare a 22-23 miliardi di euro, molti meno dei 30 attesi fino a poche settimane fa. Le condizioni finanziarie si sono deteriorate, lo spread è salito sopra 200 punti base e il deficit-obiettivo è stato rivisto al rialzo dal governo Meloni in sede di redazione della Nota di aggiornamento al DEF.

Alcuni punti chiave restano fermi e imprescindibili per la maggioranza: taglio al cuneo fiscale e riduzione delle aliquote Irpef. Per finanziare quest’ultima misura si fa molto concreta l’ipotesi di rimettere mano alle detrazioni Irpef.

Nel gergo internazionale si definiscono anche “tax expenditures”. In Italia ve ne sono oltre 600 per un costo annuale a carico dello stato stimato in 128 miliardi. In pratica, il Fisco italiano con una mano offre una miriade di sconti su questa e quella voce di spesa, con l’altra chiede ai contribuenti aliquote altissime, fino al 43% sopra i redditi di 50.000 euro lordi all’anno.

Taglio tasse con unione primi due scaglioni redditi

Le detrazioni Irpef possono essere una voce a cui attingere per trovare le risorse per il taglio delle tasse. L’idea del governo di centro-destra consiste per l’anno prossimo nell’accorpare primo e secondo scaglione, mantenendo la prima aliquota del 23%. I risparmi andrebbero a favore di chi dichiara redditi sopra 15.000 euro. Fino ai 28.000 euro, infatti, pagherebbe non più il 25%, bensì il 23%. Il beneficio massimo si avrebbe per i contribuenti con redditi pari o superiori ai 28.000 euro, i quali verserebbero al Fisco 260 euro in meno all’anno. Costo complessivo della misura: 4 miliardi.

Ed ecco che arriviamo alle detrazioni Irpef.

Il riferimento è a quelle al 19%, tra cui spese sanitarie, per l’istruzione, per gli interessi sui mutui, funerarie, ecc. L’attuale normativa prevede che tali sconti inizino ad essere scalati per i redditi a partire dai 120.000 euro e fino ad essere azzerati al raggiungimento dei 240.000 euro. Il governo starebbe prendendo in considerazione di far partire il décalage da 80.000 euro. In questo modo, i contribuenti con redditi tra 80 e 120 mila euro all’anno si ritroverebbero a pagare un po’ più di tasse, a causa delle minori detrazioni Irpef.

Ipotesi sconto fiscale forfetario

Proprio perché esiste il rischio di far pagare il taglio delle tasse sulle categorie che già ne pagano anche troppe, il governo vuole andarci con i piedi di piombo. Esiste un’ipotesi alternative e, diremmo, più strutturale per il riordino della giungla delle detrazioni Irpef. Fu ventilata nei mesi scorsi, poi non se n’è più parlato. Si tratterebbe di uno sconto forfetario per i contribuenti. In altre parole, i redditi fino a 15.000 euro avrebbero diritto a un ammontare massimo di detrazioni fino al 4% del dichiarato. Tra 15.000 e 50.000 euro lo sconto massimo si ridurrebbe al 3% e sopra 50.000 euro al 2%.

Facciamo un esempio: Tizio dichiara 70.000 euro lordi. Presenterà allo stato diverse detrazioni Irpef in base ad alcune voci di spesa realizzate nell’anno. Gliene saranno concesso fino ad arrivare a 1.400 euro, pari al 2% del reddito dichiarato. Di questo discorso non farebbero parte le spese sanitarie, per l’istruzione e relative agli interessi sui mutui. Queste resterebbero voci di spesa sensibili sul piano sociale e che il governo non avrebbe intenzione di toccare.

Detrazioni Irpef, nessuna accetta in vista

Piaccia o meno, le detrazioni Irpef così come sono state congegnate sembrano destinate ad una profonda revisione. Costano tanto e sono persino socialmente inique in molti casi, visto che a poter “scaricare” sono principalmente solo i contribuenti con redditi medio-alti.

Ciò detto, un taglio con l’accetta non è all’orizzonte. Va bene recuperare risorse a favore dei redditi medio-bassi, ma c’è da tenere insieme un’idea di Nazione che rischia di saltare se i soliti noti dovessero finire per pagare per tutti gli altri. Parola d’ordine a Palazzo Chigi: prudenza.

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