L’anno scorso in Italia si sono registrate appena 394 mila nascite, mai così poche nella storia unitaria. Dieci anni prima, erano state 534 mila. La popolazione residente è scesa sotto 59 milioni di abitanti, in calo dagli oltre 60 milioni di un decennio fa. Il tema della denatalità è diventato finalmente centrale nel dibattito politico dopo essere stato colpevolmente ignorato dai governi di centro-sinistra, secondo i quali le poche nascite non sarebbero un problema fintantoché saranno compensate dagli ingressi di immigrati. Una visione distopica, figlia di una forte ideologizzazione dei fenomeni sociali.

Allarme pensioni e scontro ideologico

Il governo Meloni sta ponendo un forte accento sul problema e intende favorire la ripresa delle nascite con misure di tipo fiscale e assistenziali. Le opposizioni, va detto, non sembrano contrarie a tale necessità. Ad esempio, già sotto il governo Draghi si ebbe il varo dell’Assegno Unico, un potente sostegno alle famiglie con prole. A tutti sembra chiaro che denatalità significhi in futuro impossibilità di pagare le pensioni.

Il meccanismo su cui si basa la nostra previdenza, come in quasi tutti gli altri stati del mondo, è quello della “solidarietà inter-generazionale”. Nel gergo tecnico, si definisce sistema a ripartizione. In pratica, l’Inps attinge ai contributi versati dai lavoratori per pagare oggi stesso le pensioni a chi è in quiescenza. I primi a loro volta un giorno percepiranno la pensione grazie ai contributi versati da coloro che lavoreranno. Il meccanismo s’inceppa nel momento in cui il numero dei lavoratori tende a ridursi rispetto a quello dei pensionati. Non a caso, lo abbiamo definito un gigantesco schema Ponzi.

Occupazione italiana resta scarsa

In Italia ci sono attualmente quasi 23 milioni e mezzo di occupati a fronte di oltre 16 milioni di pensionati. Il rapporto è di poco superiore a 1,4 lavoratori per pensionato. Di questo passo, nel giro di alcuni decenni arriveremo all’unità: un pensionato per ogni lavoratore.

Sarebbe un disastro sotto molteplici aspetti. I conti dell’Inps sballerebbero. Quando si cerca di affrontare il problema della denatalità stimolando le nascite, la prima accusa che si rivolge al governo è che i primissimi risultati positivi si vedrebbero tra non meno di una ventina di anni. Nel frattempo, rischiamo la bancarotta previdenziale. Ergo, per la sinistra esisterebbe una sola soluzione: far entrare quanti più immigrati possibili.

E’ vero che la denatalità non si curi dall’oggi al domani e che servirà almeno una generazione per migliorare i numeri di cui sopra. Tuttavia, la situazione è meno disastrosa di quanto i numeri lascino supporre. Paradossalmente, a segnalarlo sono i pessimi numeri del nostro mercato del lavoro. L’Italia ha un tasso di occupazione salito al record storico del 61,5%. Non ci sono mai stati così tanti italiani al lavoro nella fascia di età tra 15 e 64 anni. Tuttavia, restiamo in fondo alla classifica europea. La media continentale si aggira intorno al 70%.

Questo significa che, se tendessimo alla media europea, avremmo altri 3,5-4 milioni di lavoratori in più. Già questo dato ci aiuta a capire un fatto: anziché puntare tutte le nostre carte sull’immigrazione, nell’attesa che la denatalità sia un triste ricordo, potremmo e dovremmo molto più intelligentemente stimolare l’occupazione fino a portarla ai livelli occidentali. Il rapporto tra lavoratori e pensionati salirebbe a quasi 1,7. Guadagneremmo proprio quei decenni che ci mancano per arrivare ai primi risultati positivi dalla lotta alla denatalità.

Denatalità fenomeno non recente

Non è il solo dato incoraggiante. Il Centro Studi Itinerari Previdenziali di Alberto Brambilla ha trovato che negli ultimi 25 anni il numero dei pensionati in Italia è rimasto sostanzialmente stabile, mentre il numero degli occupati è salito, pur a ritmi non esaltanti. Nell’ultimo decennio, abbiamo assistito a un calo dei primi e a un aumento dei secondi.

In altre parole, la denatalità rischia di provocare danni ingenti nei prossimi decenni. In questa fase, però, non esiste una tendenza negativa.

Anziché pensare solamente ad importare immigrati per puntare sul lavoro povero e scarsamente qualificato, servirebbe massimizzare gli sforzi per potenziare l’occupazione di qualità. E’ quanto necessitiamo per accelerare i nostri ritmi di crescita. Questo ci consentirebbe di contrastare la denatalità senza allarmismi e con politiche non emergenziali, bensì ragionate e lungimiranti. Bisogna capire che il tema non sia affatto recente, ma assilla l’Italia da almeno mezzo secolo. Siamo un Paese che fa pochi figli per ragioni non esclusivamente economiche, anzi perlopiù culturali. Non sarà facile modificare i nostri costumi. Agire come se fossimo sull’orlo dell’abisso, però, non aiuta e non riflette la realtà.

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