E’ diventata davvero grave la crisi dell’economia in Argentina, se questo venerdì il presidente Alberto Fernandez ha annunciato alla nazione che non si ricandiderà alle elezioni di ottobre. Il prossimo 10 dicembre, ha spiegato, a quaranta anni esatti dal ritorno alla democrazia dopo gli anni duri della dittatura passerà la mani “a chiunque avrà vinto il voto popolare”. Una frase che vale molto, dato che gli analisti sono da tempo preoccupati per una transizione disordinata, non pacifica e tale da aggravare la situazione economica.

Il PIL è già atteso in recessione dalla quasi totalità degli economisti per quest’anno. Con un pesante -2,3%, sarebbe il peggiore calo accusato nel 2023 in tutta l’America Latina.

Timori per nuova svalutazione

La decisione di Fernandez, tuttavia, più che un “beau geste” in senso stretto, è da intendersi come la presa d’atto dell’estrema impopolarità propria e del governo che presiede dalla fine del 2019. Tutti i sondaggi accreditavano la sua candidatura di pochi punti percentuali di consensi. I peronisti al potere sono invisi alla maggioranza della popolazione per la cattiva gestione dell’economia in questi anni. Il cambio non fa che collassare e ci si aspetta una svalutazione dei pesos argentini, già a -70% da quando Fernandez vinse le elezioni primarie nell’estate del 2019.

Contrariamente a quanto potremmo credere, il cambio ha accelerato le perdite dopo l’annuncio. In effetti, l’uscita di scena del presidente in carica aumenta le probabilità di vittoria di uno dei candidati peronisti. E se accadesse, le speranze di un cambio di passo a Buenos Aires si spegnerebbero definitivamente. L’inflazione è salita sopra il 100% e le riserve valutarie alla banca centrale si sono prosciugate. La povertà è salita oramai al 40% e la siccità sta facendo il resto, riducendo i raccolti di soia, principale “commodity” agricola esportata all’estero.

Crisi argentina avvantaggia candidato outsider

A destra si è ritirato dalla corsa elettorale anche l’ex presidente Mauricio Macri, battuto da Fernandez nel 2019.

L’incognita su chi possa contrapporsi ai peronisti in carica non fa che aumentare l’incertezza sull’esito del voto. Il vuoto tra le due coalizioni principali sta incrementando i consensi per Javier Milei, un candidato “anarco-capitalista” dell’ultra-destra dalle posizioni liberiste in economia e che punta a ridurre fortemente il potere della banca centrale nel battere moneta, rimpiazzando i pesos con i dollari americani. Il cambio parallelo in vigore al mercato nero doppia quello ufficiale, segno che la corsa al dollaro sia fortissima e in accelerazione.

In settimana, la banca centrale ha alzato i tassi Leliq del 3% all’81% per cercare di piegare un’inflazione ormai fuori controllo. A marzo, il disavanzo commerciale è salito a 1,1 miliardi di dollari, il più alto in quasi cinque anni. E’ stato in parte provocato dal -34% delle esportazioni agricole. Il prossimo governo si ritroverà a gestire sin dal primo giorno il dossier caldissimo dei 44 miliardi di dollari di prestiti erogati dal Fondo Monetario Internazionale tra il 2018 e il 2019 e già rinegoziati, ma i cui nuovi termini rischiano di non poter essere rispettati per le condizioni critiche in cui versa l’economia argentina. Una nuova crisi valutaria è probabile, la quale non farebbe che portare l’inflazione su livelli stellari.

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