Mentre il mercato sconta un rialzo dei tassi d’interesse da parte della Federal Reserve di 150-175 punti base per quest’anno, le aspettative sono molto più contenute per l’Eurozona. Anche la BCE, tuttavia, li aumenterebbe dello 0,25-0,50% entro dicembre. Ed esponenti di spicco del board, come il “falco” olandese Klaas Knot, prevedono che la stretta possa iniziare in ottobre.

Cosa significa in concreto il rialzo dei tassi BCE? Anzitutto, l’istituto applica alle banche commerciali dell’Eurozona tre tipologie di tassi: sulle operazioni di rifinanziamento principale, sulle operazione di rifinanziamento marginali e sui depositi presso di esso.

Al momento, risultano fissati rispettivamente allo 0%, 0,25% e -0,50%. In parole semplici, le banche hanno bisogno quotidianamente di liquidità. La BCE gliela presta dietro l’imposizione di un tasso d’interesse. E’ chiaro che esso rappresenti un costo per le banche, le quali decidono di conseguenza quanta liquidità prendere in prestito per impiegarla a favore dell’economia reale (prestiti a famiglie e imprese) e per operazioni finanziarie (acquisto di titoli).

Quali sono i tassi BCE

Fondamentalmente, i tassi BCE sono quelli applicati alle operazione di rifinanziamento principali. Per i prestiti di brevissima durata, generalmente legati alla necessità delle banche di tamponare un’emergenza, vi sono le operazioni di rifinanziamento marginale. Nel caso dei depositi presso la banca centrale, funziona al contrario: qui, le banche portano la loro liquidità alla BCE per ricevere sui depositi (in eccesso rispetto alle riserve minime regolamentari) un certo tasso d’interesse. Dal giugno 2014, però, Francoforte non solo non paga più nulla su questi depositi, ma ha deciso al contrario di tassarli con gli interessi negativi. Attualmente, essi sono a -0,50%.

Questo significa che le banche devono pagare per parcheggiare denaro presso la BCE. L’intento di quest’ultima consiste nell’incentivare i prestiti bancari a favore dell’economia.

Ma al momento risulta depositata a Francoforte liquidità in eccesso per 4.530,4 miliardi. Quando i tassi negativi debuttarono quasi otto anni fa, essa si attestava sotto i 90 miliardi. Ciò rappresenta un paradosso: anziché prestare più denaro, adesso che devono pagare, le banche lo depositano presso la BCE. In realtà, la situazione è più complessa. Dal 2015, l’istituto acquista bond per iniettare liquidità sui mercati. Tramite il “quantitative easing” prima e il PEPP dal 2020, complessivamente alla fine del 2021 deteneva circa 4.770 miliardi di euro in obbligazioni. Per non parlare delle aste T-Ltro con cui da anni eroga agli istituti prestiti anche a tassi negativi.

A conti fatti, la stragrande maggioranza della liquidità liberata attraverso i due programmi monetari le sarebbe tornata indietro. A rigore, non sarebbe così, nel senso che parte di questa liquidità in eccesso potrebbe derivare proprio dall’attività creditizia. Facciamo un esempio: la società A chiede un finanziamento alla Banca B per comprare dalla società C un macchinario. Lo ottiene, per cui A versa il prezzo pattuito a C. Quest’ultimo deposita il pagamento ricevuto presso la stessa banca B o una seconda banca D, la quale deposita la liquidità presso la BCE. Detto questo, inutile girarci attorno: i tassi negativi non avrebbero spronato più di tanto il credito all’economia. E ciò spiegherebbe perché l’inflazione fosse rimasta sotto il target del 2% fino all’arrivo della pandemia. Il perché non è molto difficile spiegarlo: i tassi di mercato sono diminuiti al punto da non consentire alle banche di maturare margini di profitto soddisfacenti, specie a fronte di rischi di controparte crescenti dopo la crisi finanziaria mondiale del 2008-’09.

Tassi BCE in rialzo, cosa succede

Ora che la BCE porterebbe i tassi sui depositi al -0,25% o a 0 entro l’anno, il disincentivo a parcheggiare liquidità in eccesso presso i suoi sportelli si riduce.

Paradossalmente, però, potremmo assistere a una maggiore immissione di denaro in circolazione. Come sta accadendo da settimane, i tassi di mercato stanno risalendo. Ad esempio, l’Eurirs a 10 anni sfiora lo 0,90% contro lo 0,35% di inizio gennaio. Prestare denaro inizia a rendere di più, pur se l’inflazione continua più che a coprire la remunerazione.

D’altra parte, può accadere che le banche nei prossimi anni, economia permettendo, si mostrino più propense a finanziare l’acquisto di beni durevoli come la casa e gli investimenti delle aziende, pur a tassi più alti. Finora, però, spesso i tassi sono stati molto convenienti e, purtuttavia, i prestiti hanno scarseggiato per la richiesta di garanzie plurime ai clienti. A tassi più alti, la propensione al rischio tenderebbe a salire. Non farà certamente piacere ai governi, i quali si troveranno costretti a rifinanziarsi sui mercati a costi più alti. Pensate che la sola prospettiva che l’era dei tassi negativi stia finendo ha spinto il mercato a pretendere rendimenti ben maggiori sui Bund della Germania a medio-breve termine. I rendimenti sono diventati positivi sopra i 4 anni, quando erano negativi fino ai 30 anni ancora poco prima di Natale. Del resto, molti investitori, tra cui le stesse banche, finora hanno finanziato i governi dell’Eurozona anche sottocosto per sfuggire ai tassi negativi della BCE.

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