In attesa dei dati ufficiali, probabile che il debito pubblico nel 2021 sia sceso sotto il 150%, meglio delle previsioni del governo al 153,5%. Lo stock è cresciuto di 104,9 miliardi di euro, di cui presumibilmente per circa 45 miliardi a causa del disavanzo primario, vale a dire la differenza tra entrate e uscite dello stato, al netto della spesa per interessi. I conti pubblici si stanno rivelando nettamente migliori delle stime contenute nel NADEF, secondo le quali il disavanzo primario sarebbe rimasto sostanzialmente stabile al 6% del PIL.

Invece, dovrebbe essere sceso al 2,5%.

Per l’anno in corso, sempre il governo stima un disavanzo primario al 2,7% e un deficit al 5,6%. Tuttavia, alla luce dell’andamento dei conti pubblici nel 2021, queste cifre appaiono superate. In effetti, pur scontando un tasso di crescita del PIL inferiore al 4,7% atteso (si parla molto più realisticamente del 4% o anche meno), anche per via di un’inflazione certamente superiore all’1,5% programmato il PIL nominale dovrebbe espandersi non meno del 6%. Poiché la pressione fiscale incide per oltre il 40% del PIL, le maggiori entrate sarebbero nell’ordine dei 40-45 miliardi di euro su oltre 100 miliardi di maggiore PIL. A parità di spesa rispetto alle previsioni, il disavanzo primario quasi si azzererebbe. A quel punto, il deficit scenderebbe nei pressi del 3%.

Conti pubblici, rischio dal caro bollette

Il governo ha stimato una spesa per interessi quest’anno nell’ordine dei 55 miliardi, in calo dagli oltre 60 del 2021. Lo spread in forte crescita pone qualche dubbio, ma bisogna tenere presente che l’innalzamento della curva dei rendimenti dell’1% comporterebbe un maggiore esborso per lo stato di circa 2 miliardi in un anno. Dunque, l’impatto resterebbe limitato nel breve termine. Invece, qualche rischio lo corriamo per effetto del caro bollette. Il governo si troverà verosimilmente costretto, per quanto segnali di non volerlo, a varare ulteriori interventi in deficit per sostenere famiglie e imprese.

D’altra parte, però, l’alta inflazione sostiene il PIL nominale e “gonfia” le entrate statali.

In definitiva, nel 2022 potremmo avere conti pubblici nettamente migliori di quanto pensiamo. Il disavanzo fiscale potrebbe ridursi a una sessantina di miliardi e il PIL salire a 1.900 miliardi. E così, il rapporto deficit/PIL si porterebbe a ridosso del 3%, il tetto massimo consentito dal Patto di stabilità, pur sospeso almeno fino a tutto quest’anno. Sarebbe un ottimo segnale per i mercati e la stessa Commissione europea. Un ritorno rapido all’avanzo primario fornirebbe la misura degli sforzi profusi dal sistema Italia per tornare ad abbattere il proprio indebitamento pubblico. Avrebbe ripercussioni positive anche sullo spread.

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