A dicembre, il tasso d’inflazione rilevato dall’ISTAT in Italia è stato dell’11,6%. L’indice dei prezzi al consumo FOI al netto dei tabacchi segnala un incremento mensile dello 0,3%. Pertanto, la media dell’intero 2022 è stata dell’8,1%. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, aveva firmato il 10 novembre scorso il decreto per la rivalutazione degli assegni previdenziali INPS fissando un aumento provvisorio del 7,3% a partire dal gennaio 2023. In base a quanto abbiamo appena visto, l’inflazione nel 2022 è stata superiore alle stime preliminari del governo Meloni, per cui ai pensionati spetterà una rivalutazione degli assegni più generosa.

Ciò avverrà attraverso il conguaglio per le pensioni INPS a partire dal gennaio 2024, sempre che il governo non decida di anticiparlo a quest’anno per contrastare gli effetti del carovita. E’ già accaduto nell’ottobre 2022 per volontà del governo Draghi con l’anticipo del 2% per gran parte dei pensionati.

Assegni più alti da gennaio 2024

Dai dati di cui sopra, emerge chiaramente che il conguaglio per le pensioni INPS sarà pari allo 0,80% lordo. Facciamo un esempio per spiegare meglio cosa avverrà. Supponiamo di essere un pensionato con assegno nel 2022 di 800 euro al mese. Già con l’anticipo del conguaglio per il 2022 avevamo ottenuto una rivalutazione dell’assegno del 2%, cioè di 16 euro al mese. E c’era anche stata l’erogazione del conguaglio relativa al 2021 per lo 0,2%, per cui l’assegno alla fine dello scorso anno era salito di altri 1,6 euro.

In pratica, al netto dell’anticipo del conguaglio sulle pensioni INPS per il 2023, il nostro assegno è stato di 801,60 euro. Ci spetta per quest’anno una rivalutazione piena del 7,3%, dato che il nostro importo risulta essere inferiore alle 4 volte il trattamento minimo di 525,38 euro per il 2022. A questo punto, ogni mese percepiremo 860,12 euro. Attenzione, perché l’accredito effettivo risulterà inferiore per via della trattenuta alla fonte dell’IRPEF.

Il dato che vi abbiamo riportato è, pertanto, quello lordo.

Aumenti saranno definitivi

Dicevamo, però, che avremmo diritto a una rivalutazione dell’8,1%. Il conguaglio per le pensioni INPS sarà, quindi, dello 0,80%. Questo significa che nel mese di gennaio 2024, salvo eventuali anticipi dei tempi, l’INPS dovrà darci un assegno più ricco di oltre 83 euro lordi una tantum per recuperare la rivalutazione non effettuata durante quest’anno. Infatti, lo 0,80% di 801,60 euro corrisponde a circa 6,41 euro, somma che va moltiplicata per tredici mensilità. E questo, al netto della rivalutazione fissata per l’anno prossimo. Quest’ultima, poi, sarà calcolata sull’assegno comprensivo del conguaglio spettante.

Ad esempio, se la rivalutazione per il 2024 fosse del 5%, questo aumento si applica sui 666,53 euro mensili, non sui sugli 860,12 euro corrisposti dall’INPS in base alla rivalutazione provvisoria. Dunque, l’assegno salirebbe a 909,86 euro. Ripetiamo, i dati sono tutti riportati al lordo dell’IRPEF e non tengono conto delle addizionali regionale e comunale a cui sono sottoposti i redditi dei contribuenti.

Conguaglio pensioni INPS nuovo salasso per conti pubblici

Per lo stato italiano, il discorso sul conguaglio per le pensioni INPS si traduce in un maggiore esborso non solo per l’anno prossimo, ma anche per tutti gli anni a seguire per il fatto che esso aumenta definitivamente l’importo dell’assegno. Considerate che negli anni passati, le rivalutazioni degli assegni sono stati persino inferiori al solo conguaglio già noto sul 2023. Nel 2020, ad esempio, gli assegni furono rivalutati solo dello 0,50%. Proprio in previsione di una maxi-rivalutazione per il 2023, il governo ha ridotto le percentuali per gli importi superiori alle quattro volte il trattamento minimo. Al contempo, ha raddoppiato da tre a sei gli scaglioni per diluire gli effetti negativi sui pensionati con importi medio-alti. Inoltre, sono state aumentate più dell’inflazione le pensioni fino al trattamento minimo, facendo sì che i percettori con almeno 75 anni di età ricevano non meno di 600 euro al mese da questo gennaio.

Malgrado il taglio della rivalutazione, il costo a carico dello stato per quest’anno è di 21,7 miliardi di euro. Avrebbe superato i 23 miliardi nel caso in cui i criteri fossero rimasti invariati. I risparmi attesi in dieci anni arrivano a 20 miliardi. Ma se l’inflazione italiana restasse alta a lungo, i conti dell’INPS ne risentirebbero più di quanto ad oggi previsto. D’altra parte, gli stipendi dei lavoratori stanno rimanendo quasi fermi, per cui il gettito contributivo non beneficia di questo maxi-aumento dei prezzi al consumo.

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