E’ stata una mezza doccia fredda la pubblicazione dei dati sull’inflazione a febbraio nell’Area Euro. Mezza, perché grosso modo non si aspettavano novità positive rilevanti. I prezzi al consumo sono cresciuti dell’8,5% su base annua, giù solo dall’8,6% del mese precedente. In Italia, la discesa è stata inferiore alle attese: dal 10% al 9,2%. In Germania, dato stabile all’8,7%. Lievi rialzi, invece, in Francia e Spagna. L’attenzione si sposta adesso verso la Banca Centrale Europea (BCE), che il 16 marzo terrà il secondo board dell’anno.

Previsto un nuovo rialzo dei tassi d’interesse e la comunicazione sarà verosimilmente “hawkish”. Saranno annunciati ulteriori strette per i prossimi mesi, anche se Christine Lagarde potrebbe in conferenza stampa porre più che in passato l’accento sulla necessità di accelerare il risanamento dei conti pubblici.

Il governatore ha spiegato già in passato che i sussidi a famiglie e imprese contro il caro bollette dovranno essere “mirati, misurati e temporanei”. Ha giustificato questa richiesta ai governi dell’Area Euro con il fatto che, altrimenti, la domanda di energia (e non solo) resterebbe alta e sosterrebbe i prezzi, rendendo più difficile il lavoro della BCE. Essa sarebbe, così, costretta ad alzare i tassi più severamente per sconfiggere l’inflazione.

I governi hanno capito solo parzialmente il discorso. Capiscono che il rialzo dei tassi ha un impatto negativo sui conti pubblici e, in un certo senso, stanno mostrandosi negli ultimi mesi un po’ meno generosi nell’erogazione dei sussidi energetici. D’altra parte, non riescono a capire che nel complesso l’indebitamento va tagliato, che l’eccesso di spesa sulle entrate sia esso stesso un fattore di sostegno all’inflazione. In altre parole, finché non sarà implementato il risanamento fiscale le pressioni rialziste sui prezzi al consumo persisteranno.

Legame tra conti pubblici e inflazione

Cos’è il deficit dello stato? La differenza negativa tra entrate e spese.

Esso alimenta i consumi nazionali attraverso sussidi, stipendi pubblici e investimenti. La domanda di beni e servizi resta elevata e finisce per tenerne alti anche i prezzi. L’inflazione difficilmente potrà scendere se gli stati stanno continuando a spendere ciascuno decine di miliardi di euro all’anno per consentire alle famiglie meno abbienti di consumare luce e gas a tariffe quasi invariate rispetto ai livelli pre-bellici. Anche se il prezzo del gas è crollato dell’85% rispetto ai massimi storici, resta circa il doppio dei suoi valori storici medi e, soprattutto, le famiglie sussidiate possono destinate ad altri beni e servizi il denaro risparmiato grazie agli aiuti dello stato. Risultato: l’inflazione si sta trasferendo sempre più dall’energia al resto del paniere.

Ciò non significa che le famiglie e le imprese non vadano aiutate. Solo che questi aiuti non potranno indefinitamente avvenire a debito. Dovranno prima o poi essere coperti integralmente da tagli alla spesa pubblica e/o aumenti delle entrate. Solo così l’inflazione potrà avviare realmente la discesa, perché da qualche parte il denaro usato per aiutare famiglie e attività in difficoltà sarà drenato e la domanda complessiva perlomeno non aumenterà. Il risanamento dei conti pubblici si rivela essenziale. Chi non capisce che politica monetaria e politica fiscale debbano camminare assieme, è parte del problema.

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