Ieri sera, il governo Draghi ha tenuto il consueto Consiglio dei ministri settimanale, sebbene stavolta ad essere approvato sia stato un testo importante per le linee di politica economica: il Documento di economia e finanze, noto con l’acronimo Def. E’ stata l’occasione per capire come saranno aggiornate le previsioni macro dell’esecutivo. Quelle messe nero su bianco solamente sei mesi fa non hanno alcun senso agli occhi dello stesso governo. Per il 2022, il PIL italiano era atteso in crescita del 4,7% e l’inflazione dell’1,5%.

Causa guerra – ma non solo – nel migliore dei casi, la crescita economica quest’anno è intravista al 3,1% e l’inflazione acquisita a marzo era già al 5,3%.

Quanto al PIL, Prometeia l’avevo già tagliato al +2,2% e Confindustria al +1,9%. Non c’è pessimismo, invece, sui conti pubblici. Il deficit tendenziale, cioè senza gli interventi del governo, si attesterebbe al 5,1% del PIL, in discesa dal 7,3% del 2021. Poiché nel Def presentato nell’autunno scorso era stato fissato per quest’anno un target del 5,6%, a disposizione vi sarebbe mezzo punto percentuale per effettuare qualche manovra in deficit a favore di famiglie e imprese. In valori assoluti, parliamo sui 9 miliardi di euro.

Tuttavia, quelli effettivamente disponibili scenderebbero a non oltre 4 miliardi, dato che 5,5 miliardi di euro sono stati già utilizzati dal Tesoro per contrastare il caro bollette. Sono rimasti gli spiccioli, ma ad un anno dalle elezioni politiche i partiti della maggioranza hanno bisogno di piantare bandierine da sventolare in campagna elettorale. Ed ecco che anche il PD, sinora il più restio nell’invocare misure in deficit, ha rotto gli indugi e chiede che il governo aumenti il disavanzo fiscale. Si accoda così a Movimento 5 Stelle e Lega, con Forza Italia e Italia Viva un po’ più prudenti.

Def, caro bollette e taglio accise pesano sul deficit

La linea del premier Mario Draghi sarebbe la stessa indicata ai ministri in occasione del taglio delle accise a marzo: il ricorso al deficit non è escluso, ma dovrà essere l’ultima ratio.

Si procederà caso per caso, in modo da segnalare ai mercati finanziari e alla Commissione europea prudenza e non generica volontà di fare altri debiti. Il relativo ottimismo di Draghi sul deficit con il Def di primavera è svelato dal sottosegretario all’Economia, Maria Cecilia Guerra, secondo cui i conti pubblici dovrebbero reggere “grazie” all’aumento dell’inflazione. In effetti, è così. Se la maggiore inflazione compenserà del tutto il minore PIL rispetto alle previsioni precedenti, il PIL nominale resterebbe invariato e ciò consentirebbe al governo di centrare due obiettivi: le entrate fiscali e i rapporti di debito e deficit.

Con un PIL intravisto in crescita solamente del 3,1% anziché del 4,7%, l’inflazione attesa dovrebbe salire almeno poco sopra il 3% per non fare sballare i conti pubblici. Probabile che a consuntivo ci troveremo con un’inflazione ben maggiore e un PIL ben inferiore al 3%. Ma l’ottimismo sul tema fiscale rischia di fare i conti con la necessità di intervenire nuovamente a fine aprile sul taglio delle accise. Benzina e diesel sono a circa 1,80 euro al litro. Con i 30,5 centesimi in più tra accise e IVA, tra un paio di settimane ci ritroveremo con un costo del carburante ben sopra 2 euro. Difficile che i partiti, già in campagna elettorale, non tornino a invocare nuove misure di calmieramento. La spesa, però, eroderebbe del tutto il “bottino” rimasto a disposizione di Draghi, che a quel punto dovrebbe già in primavera prevedere un extra-deficit di bilancio. E sarebbe un pessimo segnale, quando mancherebbero ancora otto mesi alla fine dell’esercizio.

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