Giovedì mattina, il presidente Sergio Mattarella ha ricevuto il premier Mario Draghi al Quirinale, il quale gli ha comunicato per la seconda volta in una settimana le sue dimissioni da capo del governo. Stavolta, il capo dello stato le ha accettate e nel pomeriggio, dopo avere incontrato i presidenti di Camera e Senato, ha sciolto il Parlamento per indire elezioni anticipate. Gli italiani torneranno a votare il 25 settembre prossimo. Il governo uscente resta in carica per il “disbrigo degli affari correnti”.

La formula, in utilizzo sin dalla Prima Repubblica, in sé è vaga. Poiché la Nazione non può mai rimanere senza governo neppure per un istante, il governo Draghi effettivamente uscirà di scena nello stesso momento in cui s’insedierà un nuovo esecutivo. Domanda: chi scriverà la legge di Bilancio per il 2023?

Ritmi serrati per legge di Bilancio 2023

In effetti, questo è stato il tema principale che ha tenuto banco insieme al PNRR nelle ultime settimane. I sostenitori del premier lamentavano proprio tali scadenze per cercare di allontanare lo spettro della crisi. Senza dubbio, siamo dinnanzi a un ingorgo senza precedenti nella storia repubblicana. L’ultima volta che abbiamo votato in autunno per il rinnovo del Parlamento fu nel lontano 1919. E la ragione del voto sempre in primavera risiede proprio nel voler evitare che due governi si accavallino durante la sessione di bilancio.

La Nota di Aggiornamento al Documento Economico e Finanziario (NADEF) deve essere approvata entro il 27 settembre. La legge di Bilancio va inviata alla Commissione europea entro il 15 ottobre. Tuttavia, il termine non è perentorio. Abbiamo avuto modo di verificarlo in questi anni. Il punto è che per allora non ci sarà di certo il nuovo governo. La Costituzione all’art.61 impone alle Camere di riunirsi per la prima volta entro 20 giorni dalla data delle elezioni. Al più tardi, quindi, il nuovo Parlamento s’insedierà il 15 di ottobre.

Ma i suoi primi passi saranno la costituzione dei gruppi e l’elezione dei presidenti di Camera e Senato.

Successivamente, il presidente della Repubblica inviterà per consultazioni al Quirinale i presidenti di Camera e Senato, i rappresentanti dei gruppi parlamentari e i presidenti emeriti della Repubblica. Sonderà così il nome a cui affidare l’incarico di formare il nuovo governo. Ammesso che tutto fili liscio, ossia che nasca una maggioranza politica con numeri certi e compatta sul nome del premier, prima di novembre non avremmo il successore di Draghi a Palazzo Chigi. Dopodiché, il nuovo ministro dell’Economia dovrebbe redigere la legge di Bilancio in fretta e furia, al fine di spedirla in Parlamento per il tempo necessario ad esaminarla ed approvarla entro il 31 dicembre.

Rischio esercizio provvisorio

Anche ricevendo la massima benevolenza della Commissione, risulta difficile immaginare che ancora a metà novembre o anche dopo l’Italia non abbia una legge di Bilancio per l’anno successivo. Anche perché i mercati finanziari andranno rassicurati sul nuovo corso. Uno degli obiettivi minimi dell’esecutivo sarà, ad esempio, di impedire che scatti l’esercizio provvisorio. Nulla di drammatico in sé, ma in questa fase serve attirare la massima fiducia e credibilità all’estero.

Per quanto detto sopra, è probabile che ad occuparsi della legge di Bilancio sia il governo uscente. Gli “affari correnti” limiterebbero il suo raggio di azione, ma d’altra parte è pacifico che l’esecutivo debba poter espletare tutti quei provvedimenti d’urgenza e necessari ad adempiere ad obblighi di legge e internazionali. Probabile, poi, che dal giorno successivo alle elezioni, nel caso di maggioranza chiara, il premier uscente decida di collaborare con la coalizione vincitrice al fine di ammorbidire la transizione ed evitare che il successore si trovi a voler riscrivere intere parti della legge di Bilancio, necessitando di tempo e rischiando di avvalersi dell’esercizio provvisorio.

Sarà un passaggio molto delicato.

Di governi in autunno ne sono caduti, tra cui nel 2011 quello guidato da Silvio Berlusconi e succeduto da Mario Monti. O nel 1998, quando fu sfiduciato Romando Prodi e al suo posto s’insediò Massimo D’Alema. Tuttavia, non vi furono elezioni in quei casi. Addirittura, nel ’98 la maggioranza restò pressappoco la stessa. Un precedente più complicato si ebbe, invece, nel 2004 con le dimissioni del ministro dell’Economia, Domenico Siniscalco, alla vigilia della presentazione della manovra finanziaria. La veloce sostituzione con Giulio Tremonti evitò di infrangere le scadenze, ma tutto ciò avvenne nel mese di settembre. Stavolta, stiamo parlando di novembre, se tutto va bene.

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