Sta passando in sordina una vicenda finanziario-giudiziaria, che meriterebbe, invece, molta più attenzione mediatica, perché avrebbe implicazioni anche sul piano politico. Parliamo del caso Mediolanum. In questi giorni, si apprende che il governatore della BCE, Mario Draghi, ha scritto a Fininvest, la holding di casa Berlusconi, comunicandole l’intenzione di opporsi alla sua acquisizione di una partecipazione di controllo in Banca Mediolanum, che è stata incorporata di recente in Mediolanum.

Facciamo un passo indietro e spieghiamo meglio la vicenda. Oltre tre anni fa, l’ex premier fu condannato sul caso Mediatrade con sentenza definitiva della Cassazione.

Con essa, non solo è decaduto da senatore per la legge Severino, ma ha perso anche i requisiti di onorabilità, necessari per possedere una partecipazione pari o superiore al 10% in una banca italiana. E Berlusconi, tramite Fininvest, risulta al 30% di Mediolanum.

Caso Mediolanum, tutto nasce con la condanna di Silvio Berlusconi

Pertanto, la Banca d’Italia intimò alla holding la cessione del 20%, in modo da scendere sotto il 10% di Mediolanum, quota che non presuppone il possesso dei requisiti perduti dall’ex premier. La società fece ricorso e il Consiglio di Stato le ha dato ragione: la famiglia Berlusconi potrà continuare a detenere il 30% di Mediolanum.

Il problema nasce dal fatto che la controllata è stata fusa di recente per incorporazione con Banca Mediolanum, per cui formalmente sarebbe nata una nuova realtà bancaria agli occhi della BCE, che ha poteri di vigilanza sugli istituti europei di maggiori dimensioni. Da qui, la decisione di Draghi di non acconsentire a Fininvest di detenere una quota eccedente il 10% di Mediolanum, in virtù della perdita dei requisiti del suo azionista di riferimento.

 

 

 

Rigore solo contro la controllata di casa Berlusconi?

Sul piano formale, la posizione del governatore non sarebbe eccepibile, ma come mai tanta attenzione alla piccola banca milanese, quando a luglio è stato concesso a Deutsche Bank di conteggiare a capitale anche ricavi non ancora incassati e frutto di una cessione per ora bloccata in Cina e che potrebbe non essere finalizzata nemmeno entro fine anno? (Leggi anche: Crisi Deutsche Bank, vacilla credibilità BCE)

Insomma, se c’è bisogno di precisione, la si dovrebbe sfoggiare con tutte le banche sorvegliate.

E che dire di MPS, che nelle ultime sedute viaggia sulle montagne russe, guadagnando un giorno a doppia cifra e crollando la seduta seguente, senza che da Francoforte ci si chieda cosa stia davvero accadendo in borsa al titolo?

Berlusconi decisivo per il risultato del referendum

L’attenzione alla posizione dell’ex premier potrebbe essere legata al referendum costituzionale del 4 dicembre prossimo, che stando ai sondaggi sarebbe, oggi come oggi, perso dal premier Matteo Renzi, un fatto che provocherebbe una crisi politica in Italia e conseguenze anche nell’Eurozona, dato che a Bruxelles perderebbero a Roma un governo “fedele”, per quanto dai toni bruschi a settimane alterne, con il rischio dell’arrivo al governo degli euro-scettici del Movimento 5 Stelle.

Le chiavi del risultato sarebbero nelle mani di Berlusconi, visto che proprio gli elettori di Forza Italia, sinora i più indecisi su come votare, sarebbero determinanti per dare la volata al “no” o per consentire un recupero del “sì”. E quale migliore occasione per la BCE di impedire al leader azzurro di fare campagna attiva per il “no” di quella di metterlo alle strette, “minacciando” una delle sue aziende? (Leggi anche: Referendum costituzionale, Berlusconi deciderà il risultato?)

 

 

 

In gioco c’è il futuro dell’euro

Potremmo anche sbagliarci, ma da qui al referendum non noteremo alcuna vera discesa in campo dell’ex premier contro le riforme istituzionali renziane, che peraltro ha votato per tre volte su quattro. Piaccia o meno ammetterlo, le pressioni internazionali perché vinca il “sì” sono molto forti, perché in gioco c’è più che una mezza riforma pasticciata della Costituzione italiana, la cui sorte non interessa davvero a nessuno all’estero.

Il 4 dicembre è percepito come il 23 giugno scorso, un voto pro o contro l’Europa, pro o contro l’euro, ma con l’aggravante che sarebbe un secondo colpo a Bruxelles, forse stavolta fatale. (Leggi anche: Referendum costituzionale, vero pericolo è vuoto politico)