Da mesi la moneta unica si mostra sempre più debole e il cambio euro-dollaro è sceso in area 1,05. Si trovava sopra 1,20 un anno fa. Ma la fase di debolezza sarebbe tutt’altro che cessata. Secondo il deputy group chief investment officer di Amundi, Matteo Germano, da qui a sei mesi il cross si porterebbe a 1,02. E la società di asset management, cioè di gestione del risparmio, ritiene che il trend negativo sia dovuto al fatto che la lotta all’inflazione per la BCE non sia più il mandato numero, anzi neppure numero due.

Sarebbe diventato il mandato numero tre, arrivando dopo la salvaguardia dell’Eurozona e il sostegno alla crescita economica nell’area.

Cambio euro-dollaro tra inflazione, crisi e tassi

In altre parole, poco importa se l’inflazione nell’Eurozona sia schizzata al 7,5% in aprile, record storico da quando esiste l’euro. L’istituto non riesce ad alzare i tassi, perché teme che ciò provochi un innalzamento del costo del debito insostenibile per paesi come l’Italia. D’altra parte, la guerra in Ucraina sta colpendo direttamente il Vecchio Continente e per il momento non l’America. Dunque, la Federal Reserve sta alzando i tassi d’interesse e continuerà a farlo a passo veloce nei prossimi mesi per battere l’inflazione. La BCE ritiene di non poterselo permettere.

Per questo il cambio euro-dollaro sarebbe destinato a restare debole e a contrarsi maggiormente nei prossimi mesi. L’Eurozona rischia di entrare in recessione, per cui la BCE tentennerà sul rialzo dei tassi. Nel frattempo, la FED sarà pressata per battere l’inflazione, anche perché questo è diventato il capitolo più spinoso per l’economia americana prima delle elezioni di metà mandato a novembre. L’amministrazione Biden non può permettersi i lusso di lasciar correre ulteriormente i prezzi al consumo, altrimenti rischia una batosta storica in occasione del rinnovo del Congresso.

I timori per la crisi del debito

Tuttavia, il gestore di Amundi, Vincent Mortier, giudica “un errore” il fatto che la BCE abbia ignorato il cambio euro-dollaro. Più esso s’indebolisce, maggiore l’impatto sull’inflazione nell’Eurozona. Ieri, il tasso di aprile in Germania è stato confermato al 7,4%, salendo al 7,8% per il dato armonizzato. Si tratta del livello più alto da una quarantina di anni a questa parte. La pressione per ottenere un rialzo dei tassi BCE esiste ed è forte, ma il problema resta sempre lo stesso: senza meccanismi d’intervento automatici per spegnere possibili focolai di spread, la stretta monetaria rischia di frammentare l’Eurozona e di spingerla verso una nuova crisi dei debiti sovrani come nel funesto biennio 2011-’12.

[email protected]