Dall’inizio dell’anno perde poco meno del 3%, ma il bilancio potrebbe diventare assai più negativo nei prossimi mesi. Il cambio euro-dollaro si attesta attualmente in area 1,07 e la discesa verso la parità non è più esclusa. Il principale cross valutario del pianeta si era portato sopra la soglia di 1,10 nell’autunno scorso, mentre un anno prima precipitava ai livelli minimi dal 2002 e sotto 0,95. A muovere i fili è la divergenza monetaria esistente e attesa dal mercato. Facciamo riferimento all’evoluzione dei tassi di interesse per le due principali banche centrali: Federal Reserve e Banca Centrale Europea (BCE).

Taglio tassi BCE a giugno

Ad oggi nell’Eurozona il costo del denaro è fermo al 4,50% (4% sui depositi bancari), mentre negli Stati Uniti è al 5,25-5,50%. Questa settimana, la Fed ha lasciato i tassi invariati. Per gli investitori continuerà a farlo fino a novembre, quando è atteso il primo taglio per lo 0,25%. Fino a pochi giorni fa, il taglio era atteso a settembre e prima che venisse diffuso il dato sull’inflazione nel mese di marzo era considerato molto probabile già per giugno.

Al contrario, la BCE dovrebbe allentare la sua politica monetaria dal prossimo board di giugno. E’ proprio questo divario crescente con Oltreoceano che pesa sulle previsioni sul cambio euro-dollaro. I flussi dei capitali si spostano verso le economie con tassi di interesse più alti, per cui la moneta unica risulta indebolita. E più aumenta il lasso di tempo atteso tra il primo taglio della BCE e il primo della Fed e maggiori le probabilità di una sua discesa veloce.

Fed attendista

La Fed non può tagliare i tassi nel breve, dato che l’inflazione resta ben sopra il target del 2% e l’economia americana si mostra solida con un mercato del lavoro in piena occupazione. La BCE non può attendere altrettanto. Deve considerare un’economia debole, sebbene sia rimbalzata nel primo trimestre con il Pil a +0,3%, unitamente a un’inflazione vicina al target del 2%, pur stazionaria.

Tra l’altro, deve fronteggiare una situazione molto eterogenea all’interno dell’Eurozona. La Germania, prima economia continentale, continua a segnalare una performance assai debole. La sua crescita per quest’anno è attesa nell’ordine di qualche decimale di punto percentuale.

Un cambio euro-dollaro che tendesse verso la parità, sarebbe un problema per la BCE. Aumenterebbe i costi dei beni importati, tra cui di numerose materie prime. Finirebbe con il sostenere l’inflazione. Questo sarà il dilemma a giugno per Francoforte: dare seguito alla parola data e tagliare i tassi o attendere per non indebolire ulteriormente l’euro? Nel secondo caso, tuttavia, smentirebbe sé stessa due volte. In primis, perché farebbe intendere, contrariamente alle affermazioni ufficiali, che la sua politica monetaria dipenda dalle mosse della Fed. In sostanza, la BCE sarebbe ad autonomia limitata. Secondariamente, che persegua un dato target per il cambio euro-dollaro.

Cambio euro-dollaro a rischio con impasse BCE

La speranza per Christine Lagarde sarebbe che i prossimi dati macroeconomici negli Stati Uniti inizino a giustificare una politica monetaria meno restrittiva per la Fed. Occorrerebbe assistere a una discesa credibile dell’inflazione e/o a un indebolimento della congiuntura economica. Se così non fosse, la BCE rischierebbe di avviare l’allentamento un po’ presto e doversi muovere dopo con molta lentezza, frustrando e disorientando i mercati. Non avrebbe molto senso tagliare i tassi di un quarto di punto per poi restare fermi per mesi e mesi. Il messaggio sarebbe di impasse, di scarsa comprensione dei fatti. E neppure questo scenario deporrebbe a sostegno del cambio euro-dollaro.

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