Venerdì scorso, mentre le borse chiudevano l’ottava in rialzo, il cambio euro-dollaro risultava collassato ai minimi degli ultimi venti anni, scendendo fin sotto 1,0360. Quest’anno, perde la bellezza dell’8%. In un anno, il bilancio diventa ancora più drammatico: -15%. Nessuno avrebbe immaginato quanto stia accadendo fino a qualche mese fa. Ma la debolezza della moneta unica sembra incessante, un fenomeno che inizia a generare allarme sui mercati e persino tra i governi dell’Eurozona, oltre che alla BCE. A cosa si deve questo trend infinitamente negativo? Di certo c’è che il dollaro americano corre, essendo salito ai massimi da venti anni.

Insomma, la moneta unica vivrebbe una condizione speculare a quella del biglietto verde.

Le cause del cambio euro-dollaro debole

Ma è facile uscirsene così. La scorsa settimana, il governatore della BCE, Christine Lagarde, ha prospettato un rialzo dei tassi già a luglio. Questa dichiarazione avrebbe dovuto sostenere l’umore dei mercati riguardo al cambio euro-dollaro, mentre è accaduto il contrario. Perché? L’inflazione americana ad aprile si è rivelata più alta delle attese. Ciò spinge gli investitori a scontare una stretta sui tassi FED vigorosa anche per i prossimi mesi. Al contempo, Lagarde continua a non convincerli sull’inversione a U della politica monetaria nell’Eurozona. Il motivo appare semplice: non ci sarebbero le condizioni.

A differenza degli USA, infatti, dove l’inflazione è in buona parte trainata dalla domanda interna, da noi è frutto pressoché totalmente dei rincari internazionali delle materie prime. La guerra russo-ucraina impatta su uno scenario già di suo complicato e rischia di mandare l’economia europea in recessione. Il mercato forse starebbe scontando uno scenario ancora peggiore: il rialzo dei tassi BCE finirebbe per rallentare ulteriormente l’economia nell’area, facendola ripiegare. A quel punto, l’istituto alzerebbe le mani e lascerebbe che fosse la crisi a frenare la corsa dei prezzi al consumo.

BCE nell’angolo

Il cambio euro-dollaro debole riflette sostanzialmente prospettive negative per l’unione monetaria. Non ultimo, la BCE corre il rischio di provocare una nuova crisi dei debiti sovrani con l’avvio di una stretta monetaria senza paracadute per i bond del Sud Europa. E così, mentre la Federal Reserve continuerà ad alzare i tassi d’interesse – il riconfermato governatore Jerome Powell ha prospettato altri due aumenti dello 0,5% alle prossime due riunioni del board – la BCE si limiterà nel migliore dei casi a riportare i tassi a zero. Sempre che ci riesca.

Il punto è che un indebolimento del cambio euro-dollaro contribuisce ad alimentare l’inflazione nell’Eurozona, aumentando il costo dei beni importati. Volete un esempio? Un barile di Brent ai prezzi di venerdì scorso ci costa sui 106,50 euro. Al tasso cambio di inizio anno, ci sarebbe costato 97,70 euro. A quello di un anno fa, 90,65 euro. Pare che la BCE abbia perso di vista per troppo tempo questo fattore, concentrata esclusivamente su come trovare le giustificazioni teoriche per rinviare ciò che non andava rinviato.

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