Sarà più pesante la busta paga per chi resterà al lavoro, nonostante possegga i requisiti per andare in pensione con Quota 103. Per il prossimo anno, il governo Meloni garantirà ai lavoratori la possibilità di lasciare il posto di lavoro se in possesso di almeno 62 anni di età e 41 anni di contributi. Vuole essere un modo per evitare lo “scalone” che si determinerebbe con la permanenza in vigore della legge Fornero. Essa consente di andare in pensione a 67 anni di età o, in alternativa, se in possesso di almeno 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne.

Ma ecco un’altra novità: rispunta il Bonus Maroni per coloro che, pur avendone i requisiti, decideranno di restare al lavoro.

L’opzione del lavoratore con i requisiti di Quota 103

Roberto Maroni è deceduto da pochi giorni all’età di 67 anni. Fu fondatore della Lega Nord con Umberto Bossi, poi due volte ministro dell’Interno con i governi Berlusconi I e IV. E fu anche ministro del Lavoro tra il 2001 e il 2006. A lui si deve la famosa legge Biagi per riformare il mercato del lavoro nel 2003. L’anno seguente fu il turno delle pensioni. La sua riforma previde un incentivo, poi definito Bonus Maroni, del 33% ai lavoratori che sarebbero rimasti al lavoro e non sarebbero andati in pensione, pur avendone il diritto.

La manovra del governo Meloni resta ancora incerta circa l’effettiva entità del beneficio. In una prima stesura si era parlato del 33%, abbonando tutti i contributi previdenziali. Successivamente si era optato per una soluzione meno generosa, vale a dire il solo abbuono del 9,19% a carico del dipendente. Negli ultimi giorni, torna in auge la proposta iniziale per rendere più appetibile un’opzione altrimenti destinata con molte probabilità al flop.

Da cosa deriva il 33%? Il lavoratore smette di versare i contributi previdenziali.

E così anche il suo datore di lavoro. La somma fa proprio il 33% (9,19% sulla retribuzione lorda a carico del primo, 23,81% a carico del secondo). Questo significa che su uno stipendio lordo di 2.500 euro al mese, il lavoratore otterrebbe un incremento lordo di 825 euro, pari a circa 520 euro netti. Un bel impulso a non lasciare il posto di lavoro. Se sei in buone condizioni psico-fisiche e restare occupato di aggrada, potresti approfittarne per portare qualcosa di più a casa.

Cosa accade all’assegno con Bonus Maroni

Ma il Bonus Maroni, seppure in modalità un po’ rivista dalla sua versione originale, “blocca” il calcolo dell’assegno per la pensione al momento in cui il lavoratore esercita l’opzione. Cosa significa? Smettendo di versare i contributi, chiaramente l’INPS non terrà più conto dei periodi lavorati successivamente. In altre parole, se hai 62 anni di età e 41 anni di contributi, hai dinnanzi a te tre opzioni:

  1. continuare a lavorare versando i contributi;
  2. continuare a lavorare con il Bonus Maroni;
  3. andare in pensione con Quota 103.

Nel primo caso, l’INPS calcolerà l’assegno per la pensione tenendo conto di tutti gli anni fino alla richiesta di pensionamento. Nel secondo caso, lo stipendio sarà più alto fino a quando il lavoratore andrà in pensione. Tuttavia, l’assegno sarà un giorno calcolato sui soli contributi versati fino alla data di esercizio dell’opzione per il Bonus Maroni. In pratica, per l’INPS gli anni lavorati sotto opzione non conteranno. L’assegno risulterà più basso del caso 1), come se il lavoratore fosse andato già in pensione. Fatto salvo, ovviamente, che avrà diritto come tutti gli altri alla rivalutazione annuale.

Dunque, prima di aderire all’opzione proposta dallo stato, è necessario farsi sempre due conti. Bisogna chiedersi: l’aumento dello stipendio ottenuto per il periodo di usufruzione del Bonus Maroni compenserà il minore assegno che percepirò con la pensione? La domanda sorge solo se si ha comunque intenzione di restare a lavorare.

Va da sé che chi decide di andare in pensione con Quota 103 ha già scontato un assegno più basso. Per la parte dell’assegno liquidata con il metodo contributivo, infatti, il coefficiente di trasformazione risulterà inferiore a quello applicato a un’età più alta. E anche per la quota retributiva, maggiori gli anni lavorati e più alto il calcolo dell’assegno.

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