Non c’è ormai giorno che non si parli di Bitcoin. La “criptovaluta” più famosa al mondo ha guadagnato quest’anno quasi il 230%, salendo a una quotazione di 23.600 dollari ieri. Il massimo storico è stato toccato domenica a oltre 24.200 dollari. Molti big della finanza stanno fiutando l’affare e, complici i prezzi ormai proibitivi dei bond e di gran parte degli indici azionari, stanno cercando di diversificare i loro investimenti puntando sulle monete digitali. PayPal la accetta da qualche mese come mezzo di pagamento per i suoi quasi 300 milioni di clienti in tutto il mondo.

Società come MicroStrategy vi hanno investito centinaia di milioni di dollari e paperoni come Elon Musk si mostrano intenzionati a sfruttare il trend positivo per migliorare la redditività degli azionisti.

In questi giorni, un altro uomo d’affari ha detto la sua su Bitcoin e ancora una volta favorevolmente. Si tratta di Michael Novogratz, ex Goldman Sachs e attuale investitore in “criptovalute”, che profetizza quotazioni a 50.000 dollari nel 2021. Non è questo l’aspetto più interessante della sua intervista rilasciata a Raoul Pal di Real Vision. Novogratz lega il vero boom di Bitcoin al raggiungimento di un rapporto minimo del 10% rispetto all’oro. In pratica, quando il mercato di questa moneta digitale capitalizzerà almeno un decimo di quello dell’oro, sarà la svolta. A quel punto, tutti vorranno averne una fetta. E quando dovesse arrivare al 25%, sarebbe persino capace di eclissare i lingotti.

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Il boom di Bitcoin rispetto all’oro

Sono previsioni molto forti, quanto evocative di uno scenario a dir poco rivoluzionario. Partiamo dai dati: alle attuali quotazioni, i 18,58 milioni di Bitcoin estratti e tradabili valgono quasi 440 miliardi di dollari. Tutto l’oro estratto, invece, varrebbe circa 11.900 miliardi, che al netto della componente gioielleria, non considerabile come reale fonte di investimento, scenderebbe pur sempre a qualcosa come 6.300 miliardi.

Questo significa che ancora il mercato dei Bitcoin vale poco più del 3,5% di quello aureo. Siamo lontani dal 10% critico ipotizzato dall’investitore, ma dobbiamo anche considerare che all’inizio di quest’anno una unità di moneta digitale valeva meno di 7.200 dollari, a fronte dei 1.520 dell’oro. Da allora, il rapporto tra i due prezzi è esploso da 4,7 a 12,6, cioè è quasi triplicato a favore dei Bitcoin.

Supponendo per semplicità di calcolo che la capitalizzazione aurea resti uguale, il prezzo della “criptovaluta” dovrebbe salire sopra i 60 mila dollari per raggiungere il 10%. Si consideri, poi, che l’offerta di moneta digitale è molto rigida, limitata a un massimo di 21 milioni di unità entro i prossimi decenni, per via dell’algoritmo che sta alla base del “mining”. Sembrano al momento cifre difficilmente raggiungibili entro breve, ma chi avrebbe detto pochi mesi fa che le quotazioni avrebbero oltrepassato i 20 mila dollari? E, soprattutto, a cambiare il gioco ci sta pensando Wall Street, che fino a poco tempo fa era rimasta ai margini di questo business, anzi nessuno dell’alta finanza voleva che la propria immagine fosse associata a una moneta sospettata di essere il viatico più palese e al contempo più segreto per riciclare denaro. Oggi, l’aria è cambiata. E se anche solo l’1% della capitalizzazione delle società quotate nell’indice S&P 500 fosse investito in Bitcoin, il valore di questo mercato raddoppierebbe.

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