Terzo appuntamento di politica monetaria dall’inizio dell’anno per la Banca Centrale Europea (BCE), che nelle prossime queste ore sarà chiamata a decidere ancora una volta sui tassi di interesse nell’Eurozona. Stando alle previsioni della vigilia, non ci sarebbe alcun annuncio in vista riguardo ad un taglio. E a maggiore ragione dopo che gli Stati Uniti hanno reso noto ieri che l’inflazione a marzo è salita ancora al 3,5% annuale, al 3,8% per il dato “core”. Verosimile, invece, che l’istituto segnali già con la pubblicazione del comunicato finale delle ore 14.15 l’avvio dell’allentamento monetario da giugno.

Ad oggi, i tassi di riferimento restano fissati al 4,50%, sui depositi bancari al 4% e sui prestiti marginali al 4,75%. Prossimamente, la distanza tra i primi e i secondi sarà ridotta allo 0,25%.

Tassi BCE al test dell’inflazione

L’inflazione nell’Eurozona resta sopra il target del 2%. A febbraio era al 2,4% e, al netto di energia e generi alimentari, al 2,9%. Ma è altresì vero che in Germania, Francia e Italia il dato armonizzato di marzo è risultato inferiore alle attese. Nel nostro Paese, addirittura, sotto il 2%. L’economia nell’unione monetaria è stagnante, sebbene i rincari di materie prime come il petrolio inviti alla cautela prima di arrivare al taglio dei tassi BCE.

L’attenzione dei mercati da mesi si è spostata da “taglio sì, taglio no” a “quando e quanto”. Fatto salvo che da giugno il costo del denaro sarà ridotto, la vera domanda è a quale livello scenderanno entro il breve termine i tassi BCE. Secondo le previsioni degli investitori, il punto più basso verrà toccato tra 2-3 anni al 2,25%. Questo sarebbe il livello a cui tenderebbero i tassi sui depositi bancari. Rispetto ad oggi, un taglio di 175 punti base o 1,75%. Il dato pone in evidenza due aspetti fondamentali: i tassi BCE resterebbero sopra il target d’inflazione del 2% e, quindi, verosimilmente positivi in termini reali; non scenderebbero ai livelli nominali nulli o negativi degli anni pre-Covid.

Boom dell'oro segnale di sfiducia per banche centrali

Boom dell’oro segnale di sfiducia per banche centrali © Licenza Creative Commons

Oro di record in record

Rispetto al decennio passato il fantasma dell’inflazione è tornato a fare paura. E c’è quel boom dell’oro a rendere le cose più complicate alle banche centrali di tutto il pianeta. Il metallo è arrivato vicinissimo alla soglia record dei 2.400 dollari l’oncia questa settimana. Guadagna oltre il 17% nell’ultimo anno. E’ vero che il taglio dei tassi BCE, così come di Federal Reserve, Banca d’Inghilterra, ecc., sostiene teoricamente le quotazioni auree per effetto dei minori rendimenti obbligazionari, concorrenti del metallo, asset senza cedola. Dietro ai sempre nuovi massimi storici, però, ci sarebbe una verità molto più scomoda per governi e banche centrali.

L’oro è tipicamente una moneta, per millenni utilizzata come mezzo di pagamento e riserva di valore. In sostanza, si pone in alternativa alle monete fiat. Il suo appeal cresce nelle fasi di sfiducia verso queste ultime. Accadde negli anni Settanta zavorrati dall’inflazione. Si ripeté dopo la crisi finanziaria mondiale del 2008, quando la liquidità sui mercati esplose in conseguenza dell’azzeramento dei tassi e delle politiche monetarie non convenzionali dei principali istituti.

Il mondo annega nei debiti

Il mondo annega nei debiti © Licenza Creative Commons Artificiale

Debiti mondiali sempre più alti

Di taglio dei tassi negli Stati Uniti non si parlerebbe neppure se non si avvertisse l’esigenza di tenere sotto controllo la spesa per interessi. Qui, il debito pubblico è lievitato di oltre 11.000 miliardi di dollari con la pandemia e di oltre 25.000 miliardi dalla crisi del 2008. Nell’Eurozona, il trend è stato meno drastico, ma la direzione è quella. Così come nel resto del pianeta, oberato complessivamente da debiti per 313 mila miliardi, settore privato incluso, quasi al 330% del Pil.

Boom dell’oro limite per banche centrali

Il boom dell’oro segnala la crescente sfiducia dei mercati verso la sostenibilità di questi debiti, denominati in valute sempre più disancorate dai fondamentali. Se fino a poco più di mezzo secolo fa, esse risultavano convertibili in oro, adesso non lo sono. Alla base dovrebbe esservi una corrispondenza con le dimensioni economiche degli stati emittenti, ma da tempo le banche centrali hanno smesso di preoccuparsi di custodire tale rapporto. Usano la leva dei tassi per manovrare la liquidità a piacimento e sostenere così politiche fiscali sempre meno equilibrate.

I tassi BCE furono tenuti per molti anni a zero, a -0,50% sui depositi bancari. Le banche commerciali nell’Eurozona vennero pagate per farsi prestare denaro. Una follia cessata con il ritorno dell’inflazione e la necessità di contrastare il carovita. Tornare a quegli anni, ammesso che fosse possibile in base ai dati sull’inflazione futura, non è praticabile. Questo immenso debito rischia di non essere più piazzato tra gli investitori privati, desiderosi di ottenere una remunerazione non infima, dati i rischi di credito crescenti. Prima del Covid, l’eccesso di liquidità andò ad alimentare una gigantesca bolla finanziaria che gonfiò le quotazioni di azioni e obbligazioni. Ora che per le seconde è scoppiata, ai mercati non è rimasto che comprare l’unico asset non direttamente manovrabile dai governi: l’oro.

Tassi BCE non torneranno negativi

Ma più l’oro sale, maggiore la tentazione nel mondo di usarlo per rimpiazzare il dollaro e le altre monete fiat tra le loro riserve valutarie. Un rischio immenso per l’Occidente, in particolare. Ecco perché non assisteremo quasi certamente a un ritorno ai livelli dei tassi BCE del recente passato. Il taglio ci sarà, ma a Francoforte cercheranno di tenere il costo del denaro, se non sopra, almeno in linea con l’inflazione. Prestare denaro dovrà risultare conveniente e farselo prestare costoso.

Un ritorno alla normalità, che dopo un lunghissimo decennio di ubriacatura, sembra difficile persino da ricordare.

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