Il crac di Silicon Valley Bank (SVB) nel mese di marzo accese i fari sui rischi incombenti sulle banche di tutto il mondo a seguito dell’aumento dei tassi di interesse. L’istituto andò a gambe per aria dopo avere venduto un portafoglio obbligazionario, riportando perdite per qualche miliardo di dollari. I mercati iniziarono a prendere di mira i titoli bancari, temendo un problema di portata generale. Cos’è accaduto e continua ad accadere? Il costo del denaro è aumentato vertiginosamente nell’ultimo anno e mezzo.

Ad esempio, nell’Eurozona i tassi di riferimento sono saliti da 0 al 4,50% in appena quattordici mesi. I rendimenti dei bond si sono parimenti impennati. Basti pensare che il BTp a 10 anni è passato dallo 0,50% durante la pandemia al 5% attuale. Questo significa anche che i prezzi dei titoli sono nel frattempo collassati, specie sul tratto lungo della curva.

Cosa sono le perdite non realizzate

Le banche che hanno in possesso bond emessi in periodi di bassissimi rendimenti, hanno assistito al crollo delle relative quotazioni. Le regole contabili internazionali consentono loro di detenere formalmente in portafoglio le obbligazioni sotto la dicitura “Held-To-Maturity” (HTM). In pratica, le banche dichiarano che i bond in possesso saranno mantenuti fino alla scadenza. In una fase di rialzo dei tassi, questo espediente contabile viene in soccorso dei loro bilanci. Anche se i prezzi dei bond scendono, gli istituti non sono tenuti ad aggiornarne i valori ai prezzi di mercato. Infatti, mantenendo i titoli fino alla data del rimborso, nei fatti non subiscono perdite in conto capitale. Semmai, stanno tenendo in portafoglio titoli meno redditizi di quanto non lo siano quelli di nuova emissione o quelli negoziati sul mercato secondario.

Tuttavia, non è detto che le cose procedano sempre lisce. Il caso SVB ne è la dimostrazione. La banca aveva bisogno di liquidità e dovette vendere un portafoglio obbligazionario di oltre 20 miliardi di dollari.

Nel momento in cui le banche dovessero trovarsi costrette a liquidare gli asset, quelle perdite considerate soltanto “virtuali”, si trasformano in reali. Ecco perché gli analisti seguono i bilanci bancari e calcolano puntualmente le cosiddette “perdite non realizzate”. Esse rappresentano il minore valore di mercato dei bond rispetto a quello di carico o acquisto. Negli Stati Uniti, al termine del terzo trimestre ammonterebbero a 650 miliardi, in crescita dai 588 miliardi di giugno.

Spada di Damocle su banche USA

In pratica, se le banche americane vendessero i bond HTM, allo stato attuale riporterebbero nei loro bilanci perdite per 650 miliardi, di cui 131,6 miliardi soltanto per Bank of America su un portafoglio obbligazionario di 603 miliardi. La situazione nell’Eurozona non sembra dissimile. Anzi, da noi i rendimenti erano stati persino negativi lungo gran parte della curva fino a poco prima che la Banca Centrale Europea (BCE) iniziasse ad alzare i tassi. Dunque, le perdite potenziali per le banche detentrici potrebbero ammontare a diverse centinaia di miliardi di euro. Finché questi asset restano a bilancio, nessun problema. Se e quando dovessero essere rivenduti per ragioni di cassa, ecco che arriverebbero i guai.

Per quali ragioni le banche dovrebbero avere problemi di liquidità? Il caso più esemplare sarebbe una fuga dei depositi dei clienti. Se questi dovessero andare in cerca di rendimento e non si accontentassero dei tassi zero virgola offerti dai conti deposito, le banche si ritroverebbero con minori risparmi al loro passivo e con la necessità di fronteggiare un aumento imprevisto dei prelievi. O pensate anche all’aumento delle sofferenze per effetto dei mancati rimborsi di prestiti e mutui dei clienti. Il “buco” potrebbe essere temporaneamente coperto liquidando asset in portafoglio.

Perdite banche in Europa

In Italia, un rischio simile si è intravisto sul mercato assicurativo. Il caso Eurovita ha dimostrato che l’aumento dei tassi spinge i clienti a liquidare le polizze contratte in passato con rendimenti bassi, al fine di stipularne di nuove a condizioni migliori.

D’altra parte, le banche centrali non stanno certo a guardare. La Federal Reserve si è inventato il Bank Term Funding Program con cui finanzia le banche fino a 12 mesi e per importi corrispondenti al valore nominale dei titoli di stato e quelli coperti da garanzia ipotecaria (Mbs). Questa linea di credito consente alle banche americane di ottenere liquidità facilmente senza la necessità di dover rivendere i bond in portafoglio per fare cassa.

E nell’Eurozona? La BCE ha chiuso i rubinetti della liquidità, aperti negli anni passati tra Quantitative Easing, aste T-Ltro e PEPP. Anzi, si accingerebbe a porre fine ai riacquisti condotti con quest’ultimo programma varato in emergenza Covid. Resta la possibilità di tornare ad acquistare bond all’occorrenza e di erogare nuove linee di credito alle banche nel caso di difficoltà. Tutti strumenti che avrebbero come obiettivo di far risalire i prezzi degli asset sul mercato e di ridurre il fabbisogno di liquidità degli istituti, consentendo loro di mantenere in portafoglio i bond più a lungo possibile.

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