L’allarme scattato alla Silicon Valley è stato avvertito forte e chiaro in tutto il resto del mondo. Una banca è saltata in aria dopo avere registrato perdite su un portafoglio di bond acquistati a prezzi alti e rendimenti bassi. Al di là della cattiva gestione della liquidità di questi anni, il mondo della finanza resta consapevole che il problema di fondo esiste per tutti: i bilanci sono stracolmi di asset finanziari svalutatisi con il rialzo dei tassi d’interesse. E il tema riguarda anche un’istituzione come la banca centrale.

Chi prima e chi dopo, sin dal crac di Lehman Brothers nel 2008 le banche centrali iniziarono ad acquistare titoli di stato e obbligazioni private in quantità massicce. L’obiettivo consistette nell’aumentare la liquidità sui mercati per evitare una caduta dell’economia nella deflazione. I prezzi degli asset finanziari salirono in conseguenza della domanda istituzionale, mentre i rendimenti obbligazionari crollarono. Nell’Eurozona e in Giappone, ad esempio, sprofondarono persino sottozero lungo la curva.

Con il ritorno dell’inflazione ai massimi da quaranta anni a questa parte, le banche centrali dovettero smettere di acquistare bond e iniziare ad alzare i tassi d’interesse. Entrambe le misure sono finite per colpire i prezzi dei bond e farne schizzare i rendimenti. Prendete la Banca Centrale Europea. Aveva chiuso il 2022 con un portafoglio di bond intorno ai 5.100 miliardi di euro. Si tratta dei titoli acquistati negli anni precedenti per finalità di politica monetaria. Di questi, circa 3.250 miliardi tramite il programma noto come Quantitative Easing (QE) e altri 1.700 miliardi con il PEPP in piena pandemia.

Banca centrale con patrimonio negativo

Il valore di questi bond stessi è crollato con il rialzo dei tassi e la fine degli acquisti netti. Basti pensare che il Bund a 10 anni oggi offre un rendimento del 2,35%, mentre la BCE lo ha acquistato fino al termine del QE nel giugno scorso a rendimenti negativi.

Cosa accadrebbe nel caso di perdite a bilancio? Una risposta in tal senso la diede il governatore Christine Lagarde qualche anno fa. A precisa domanda, replicò che “la banca centrale può al limite operare anche con un patrimonio netto negativo”.

Nel 2022, la BCE chiuse con uno stato patrimoniale di 699 miliardi di euro e un risultato economico nullo. In pratica, le basterebbe riportare perdite per il 13-14% del suo portafoglio di bond per azzerare il valore dei suoi asset. E dopo? In teoria, una banca centrale si può stampare da sola tutta la moneta che le serve per funzionare. Problema inesistente? Non è esattamente così. La funzione di una banca centrale è di stampare moneta da offrire al mercato per regolare gli scambi. Il valore di banconote e monetine è dettato dalla fiducia, non è intrinseco. E per avere fiducia, serve che l’emittente sia credibile.

Può essere percepita tale una banca centrale con un patrimonio netto negativo? Dipende da cosa ne penserebbero lavoratori, imprese, consumatori, risparmiatori e investitori. Non esiste una risposta aprioristica, semmai c’è la convinzione che una banca centrale debba fare di tutto per mostrarsi solida. Chi stampa denaro, deve essere percepito finanziariamente robusto. Un’immagine che scricchiolerebbe se sapessimo che la banca centrale abbia riportato perdite per un valore superiore al suo patrimonio. In pratica, a stampare moneta sarebbe un soggetto costretto a crearne un po’ anche per sé, al fine di continuare ad operare normalmente. E se la massa monetaria è considerata superiore alle esigenze del mercato, questi può reagire sbarazzandosene e innescando meccanismi perversi di inflazione fuori controllo.

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