Il premier del Giappone  Shinzo Abe ha da poco dato il suo assenso definitivo all’aumento dell’IVA dal 5% all’8%, a partire dall’1 gennaio del 2014. E dall’ottobre del 2015, l’imposta sui consumi aumenterà dall’8% al 10%, raddoppiando l’aliquota attuale.

La decisione è stata presa dopo la pubblicazione dell’ultimo rapporto Tankan della Bank of Japan, secondo cui nel terzo trimestre di quest’anno l’indice di fiducia delle grandi imprese manifatturiere è salito di 12 punti, in rialzo dai 4 punti del trimestre precedente e superiore agli 8 punti del consensus.

E anche le grandi aziende non manifatturiere hanno visto crescere di 14 punti la loro fiducia, superiore ai 12 punti precedenti, ai massimi dall’ultimo trimestre del 2007.

 

Prosegue la cura all’insegna dell’Abenomics

Musica per le orecchie di Abe, che aspettava una conferma dello stato espansivo dell’economia, prima di procedere all’aumento dell’IVA, ferma al 5% dal 1997, anno in cui fu elevata dal precedente 3%. Tuttavia, i timori che l’imposta possa impattare negativamente sui consumi e sull’economia sono stati forti, anche perché sarà una coincidenza, ma il Giappone è in stagnazione proprio da quel 1997. E, tuttavia, il premier accompagnerà la misura con altri interventi fiscali espansivi all’interno di un pacchetto di 5.000 miliardi di yen (38 miliardi di euro). Le imposte sugli utili delle imprese dovrebbero essere abbassate, così come dovrebbero essere aumentati gli sgravi in loro favore, al fine di spingere sugli investimenti privati, prospettati in crescita del 5,1%, ma meno del +5,5% previsto.

 

Il caso italiano

Quanto accade in Giappone è, quindi, profondamente diverso dalla situazione italiana, con l’IVA ad essere innalzata da oggi al 22%, ma senza una contropartita fiscale sul piano delle imposte dirette o di altre misure tese ad attutire l’impatto negativo sui consumi.

 

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Si dibatte, poi, sui possibili tagli alle imposte sui redditi individuali (la nostra Irpef).

Il ministro delle Finanze, Taro Aso, vorrebbe maggiore cautela e prima di tagliare le imposte preferirebbe dedicarsi alla riduzione del deficit (oltre il 10% del pil nel 2013) e dell’immenso debito pubblico giapponese (oltre il 200% del pil).

Intanto, una buona notizia arriva per il governo anche dal fronte monetario. I tassi di interesse reali sono scesi sotto lo zero, diventando negativi. Ciò era proprio l’obiettivo di Abe e della BoJ, che sperano di lottare così contro la deflazione, attraverso una maxi-iniezione di liquidità. Una conseguenza di questa politica si è vista anche stamane, in occasione del collocamento da parte del Tesoro di Tokyo di 2.182,9 miliardi di yen in titoli a 10 anni, piazzati a rendimenti in calo allo 0,682% dal precedente 0,765%.

Il governo si pone come obiettivo lo spostamento della liquidità verso il comparto azionario e i consumi, al fine di fare salire i prezzi, in discesa da quasi venti anni (deflazione). Al contempo, la ricerca di rendimenti maggiori potrebbe spingere gli investitori a puntare i capitali all’estero, provocando il deprezzamento dello yen e la conseguente risalita dell’export.