Il governo Draghi ha concordato con i sindacati di aumentare gli stipendi pubblici di 107 euro in media al mese, attraverso il rinnovo dei contratti per il triennio 2019-2021. L’annuncio riguarda 3,2 milioni di dipendenti pubblici. Il ministro della Pubblica Amministrazione, Renato Brunetta, ha siglato con le sigle sindacali un “Patto per l’innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale”, che punta anche a migliorare gli stipendi con la progressione di carriera e a puntare sullo “smart working”.
Il costo di questo rinnovo sarebbe stimabile nell’ordine dei 4,5 miliardi lordi all’anno, circa lo 0,25% del PIL pre-Covid.

Non si tratta di un esborso indifferente per le casse dello stato, specie in un periodo come questo. Secondo il premier Mario Draghi, “il buon funzionamento della Pubblica Amministrazione è al centro di una buona società, se non funziona il primo, la seconda è più fragile e ingiusta”.
Il rinnovo del contratto degli statali di per sé è una buona notizia e non solamente per le categorie coinvolte. Esso, peraltro, tenderà a premiare i dipendenti più produttivi senza più limiti ai premi, così come a transitare la macchina burocratica verso un nuovo modello di lavoro, attraverso un uso più frequente dello “smart working”. Ma come sappiamo, la storia dell’Italia è piena di belle intenzioni. Difficile che i sindacati accettino, ad esempio, di applicare modelli contrattuali tesi a favorire la produttività a discapito dei premi a pioggia. Così come lo “smart working”, in quest’ultimo anno una necessità a causa della pandemia, si configura come un’ottima idea per snellire gli uffici e garantire maggiore flessibilità al dipendente pubblico, ma i risultati di questi mesi non possono considerarsi affatto positivi, ad eccezione del comparto scuola.

Con il rinnovo dei contratti Draghi premia gli statali

Gli uffici pubblici stanno lavorando così a rilento, che il governo ha dovuto più volte prorogare le scadenze per i rinnovi di vari documenti, dalla carta d’identità alla patente di guida, altrimenti milioni di italiani sarebbero rimasti in una condizione legale spiacevole, a causa degli enormi ritardi con cui sta procedendo la già lenta burocrazia italica.


Sulla necessità di adeguare gli stipendi pubblici, nulla quaestio. A maggior ragione che il rinnovo arriva al termine di un lungo decennio in cui i dipendenti dello stato sono rimasti essenzialmente a bocca asciutta. Ma il problema che rileviamo è di natura politica. Draghi esordisce da premier con un atto che assume un preciso significato: premiare la parte dell’Italia che non ha sofferto sul piano economico la pandemia, quando esistono milioni di partite IVA e di lavoratori del settore pubblico costretti a rimanere a casa per via delle chiusure anti-Covid, vittime di ritardi ingiustificabili per l’ottenimento dei ristori e della cassa integrazione rispettivamente, nonché privati della certezza di un futuro a brevissimo termine.
Possibile che mentre mezza Italia lotta per proteggere il proprio posto di lavoro e si scontra con una parte rilevante della stessa opinione pubblica che invoca nuove chiusure, ad essere premiata sia la solita Italia degli iper-garantiti? Davvero Draghi non ha potuto trovare di meglio che debuttare con un atto dalla continuità “ideologica” con le vecchie pratiche politiche, tese più ad assicurare clientele al governo di turno che non a distribuire in maniera razionale ed efficiente le risorse dei contribuenti?

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