C’è tempo fino al 30 novembre per aderire al Fondo di solidarietà di Monte Paschi di Siena (MPS), tramite il quale i dipendenti della banca potranno andare in pensione fino a 7 anni prima. Dovranno maturare il requisito per la quiescenza entro il 31 dicembre 2029. Le risorse stanziate sarebbero sufficienti per 3.500 uscite volontarie, ma già hanno presentato richiesta in 4.200. Se tutte dovessero essere soddisfatte, il costo dell’iniziativa salirebbe a ridosso di 1 miliardo di euro contro gli 8-900 milioni stanziati. E il punto è che queste risorse dovranno arrivare dall’ennesimo aumento di capitale di MPS.

Per l’esattezza, a giorni prenderebbe il via il sesto dal 2008. Finora, il mercato ha investito in tali operazioni circa 18 miliardi di euro, a cui si sono aggiunti i 5,4 miliardi dello stato nel 2017; tutti finiti nel buco nero delle perdite di Siena. Tant’è che in borsa la banca capitalizza appena 225 milioni di euro. Attenzione: dopo il raggruppamento delle azioni MPS 1:100 dei giorni scorsi, Borsa Italiana ha semplicemente moltiplicato per 100 il valore della capitalizzazione, la quale risulta così essere suoi schermi pari a 22,5 miliardi, combinando un pasticcio.

Numeri di aumento capitale MPS

Dicevamo, a giorni dovrà tenersi il sesto aumento di capitale MPS. L’AD Luigi Lovaglio lo ha fissato in 2,5 miliardi, di cui 1,6 miliardi saranno a carico dello stato. Il Tesoro detiene, infatti, una partecipazione del 64,23%. I restanti 900 milioni dovrebbe metterglieli il mercato. Il problema è che nessun grande investitore si è fatto avanti e immaginare che saranno i piccoli a salvare la banca più antica del mondo è pura fantasia. La situazione è così delicata che iniziare a nutrire dubbi persino le banche del consorzio di garanzia, ovvero coloro che dovrebbe assicurare il buon esito dell’operazione.

Al momento, mancherebbero persino i placet formali di entità come Axa e Anima. La francese si accontenterebbe di mantenere le attuali condizioni contrattuali per la distribuzione delle polizze assicurative tramite gli sportelli di MPS.

L’italiana vorrebbe ampliare i termini dell’accordo sulla gestione del risparmio. Rocca Salimbeni resiste, perché teme che in futuro altre banche interessate a rilevare MPS siano disincentivate nel caso in cui non potessero sfruttare possibili sinergie a favore delle proprie Sgr.

Axa dovrebbe partecipare all’aumento di capitale MPS fino a 130 milioni, Anima fino a 150-200 milioni. Anche ammesso che alla fine contribuiranno, se non altro per garantirsi i contratti attuali, resterebbero da trovare altri 550-600 milioni come minimo. Serve il coinvolgimento di qualche fondo o, addirittura, di una banca. All’orizzonte non sta spuntando alcun cavaliere bianco. E si capisce il perché. Le ricapitalizzazioni continue non hanno sinora portato a nulla, se non a “bruciare” valore in borsa senza sosta. L’aumento in vista equivale a undici volte la capitalizzazione di MPS a Piazza Affari. Le azioni hanno perso quest’anno il 75% e il 99,99% sin dai massimi del 2007.

Scarsa fiducia degli stessi “stakeholders”

Le stesse adesioni in eccesso alle uscite volontarie segnalano la scarsa fiducia verso il futuro della banca di chi la vive al suo interno. Il Fondo erogherà ai beneficiari l’85% dello stipendio per chi percepisce una retribuzione mensile fino a 2.850 euro, l’80% per le attuali retribuzioni sopra 2.850 euro. I risparmi attesi alla fine del 2023 sarebbero di 270 milioni, per cui il costo netto dell’operazione risulterà decisamente inferiore già nel breve termine. Ma per metterla in pratica servono gli sghei ed entro il 13 ottobre la Consob dovrebbe approvare il prospetto informativo dopo che la banca lo avrà presentato. Senza tale sigillo, l’avvio dell’aumento di capitale per MPS slitterebbe rispetto alla data del 17 finora fissata.

Lovaglio vorrebbe velocizzare i tempi, forse per evitare di chiedere i quattrini al mercato sotto il prossimo governo. E il centro-destra notoriamente non è favorevole all’operazione, sebbene Fratelli d’Italia abbia concesso il proprio placet alla dirigenza per evitare ritardi nell’implementazione del piano di salvataggio.

Certo è che non giova agli investitori istituzionali sapere che il principale azionista stesso di MPS sia titubante sulla ricapitalizzazione. Del resto, ha già “buttato” nella banca 5,4 miliardi nel 2017. Senza contare l’accollo alla società pubblica AMCO dei crediti deteriorati per 8,1 miliardi. Uno svenamento di cui non si vedono né i risultati e né la fine.

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