Fa discutere l’articolo in primissimo piano pubblicato martedì dal Financial Times, il quale ha riportato un sondaggio condotto tra diversi analisti di spicco, secondo il 90% dei quali l’Italia sarebbe l’anello debole dell’Eurozona con il rialzo dei tassi d’interesse della Banca Centrale Europea (BCE). Il pezzo è stato considerato un attacco al nostro Paese. Del resto, qualche mese fa la copertina di un altro quotidiano finanziario britannico ebbe come “vittima” l’Italia. Il titolo “Welcome to Britaly” stigmatizzava il caos politico di Londra, rimandando alla tradizionale instabilità di Roma.

La stampa di Sua Maestà non è sempre tenera con l’Italia, per cui il sospetto che anche stavolta il Financial Times ce l’abbia con noi è forte.

Tuttavia, leggendo l’articolo notiamo parole affatto pregiudiziali. Viene evidenziato il fatto che il nuovo governo di Giorgia Meloni non abbia sinora offerto pretesti per accrescere i timori sui conti pubblici. La sua politica fiscale è stata improntata, si legge, alla prudenza. D’altra parte, l’Italia vanta un debito pubblico sopra il 145% del PIL e questo sarebbe di per sé sufficiente per temere conseguenze negative con la stretta monetaria in corso nell’Area Euro. Poiché il costo del denaro sta salendo, per Roma diverrà sempre più faticoso rifinanziarsi a tassi sostenibili.

Leggendo tra le righe, l’attacco non sarebbe all’Italia. Ammesso che di attacco si tratti e non più semplicemente di un’analisi della realtà. In effetti, qui nel mirino vi sarebbe proprio la politica monetaria della BCE. Il Financial Times non è un quotidiano qualunque, bensì espressione della City di Londra. Rispecchia gli umori di una delle principali piazze finanziarie del mondo, la prima in Europa. E non è un mistero che i mercati non vedano di buon occhio la stretta delle banche centrali.

Financial Times pizzino per Lagarde

Essi erano andati avanti per oltre un decennio a colpi di tassi azzerati e liquidità a fiumi iniettata dai governatori.

I prezzi degli asset salivano senza sosta e spesso senza alcuna attinenza con i fondamentali. Fare affari era diventato facile, alla portata anche del più ignorante di finanza. Bastava comprare di tutto e attendere che il prezzo salisse. La gestione passiva sembrava il futuro quasi esclusivo dei mercati, in quanto non serviva più alcuna capacità analitica e previsionale. Un titolo valeva l’altro, tanto il mercato cresceva per tutti. Poi, l’incidente della storia che rimette tutto in discussione. La pandemia costringe le banche centrali ad allentare ulteriormente le rispettive politiche monetarie. Sembra il trionfo della finanza facile, mentre è il primo tempo di un film con un finale a sorpresa. Il ritorno dell’inflazione riporta tutti indietro con le lancette di oltre un decennio. C’è l’uscita dagli stimoli monetari, i tassi salgono repentinamente, i valori degli asset finanziari crollano come mai prima in mezzo secolo.

Le banche centrali non possono fermarsi o rischiano di perdere il controllo della stabilità dei prezzi. Ma questo fa paura a chi nel mondo della finanza si era esposto verso titoli spazzatura confidando sul mantenimento nel lungo termine dell’accomodamento monetario. Il Financial Times è solo la punta dell’icerberg. C’è un intero mondo che fa pressione, affinché la BCE di Christine Lagarde compia un passo indietro. Perché proprio la BCE? E’ la banca centrale più vulnerabile, dato che si ritrova a gestire la politica monetaria di venti stati fiscalmente indipendenti. L’articolo sull’Italia sembra quasi un avvertimento di certi ambienti a Francoforte: o la smettete di alzare i tassi o rischiate una nuova crisi del debito sovrano. Insomma, paventare il rischio che salti tutto, euro compreso, per indurre il board a più miti consigli.

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