L’Europa “non deve essere vassalla degli Stati Uniti”. Non è la dichiarazione di qualche esponente politico invasato all’opposizione di un governo europeo, bensì la frase più significativa del discorso pronunciato dal presidente francese Emmanuel Macron nel corso di un’intervista rilasciata al suo ritorno dalla Cina. Ci sono elementi apprezzabili nelle parole dell’Eliseo, tra cui l’importanza di essere “sovrani” sull’Intelligenza Artificiale, l’energia, la difesa, le infrastrutture. Altri lasciano completamente perplessi, come sulla necessità di sganciarsi dalla “extra-territorialità del dollaro“, che in soldoni significa di non voler più replicare sanzioni finanziarie come quelle comminate alle riserve valutarie russe.

Lascia perplesso un simile discorso, perché sembra essere una presa di distanza dalla linea sin qui seguita dall’Occidente contro Mosca.

Il risultato di queste parole è stato immediato. Mentre il fronte atlantico si sgretolava sui giornali, la Cina circondava l’isola di Taiwan per simulare un attacco militare. Un segnale chiarissimo all’indirizzo della Casa Bianca: “guarda che possiamo fare quello che vogliamo nel nostro cortile di casa, perché i tuoi stessi alleati non ti seguirebbero”.

Cina approfitta di Macron

L’uscita di Macron non è quella che i francesi definirebbero una “boutade”, né una scoria lessicale della “grandeur” francese. L’Eliseo sta cercando di intestarsi un reset delle relazioni diplomatiche con l’Asia, temendo che l’Europa finisca per restare travolta dalle tensioni geopolitiche. Perché tutti i segnali di questi mesi stanno andando nella direzione di prospettare un Vecchio Continente senza più la disponibilità a basso costo di alcuna materia prima e alla mercé degli americani anche sul piano economico. Dal gas alle terre rare, dal petrolio ai chip, siamo nelle mani di Russia (sempre meno), Cina (sempre più) e Arabia Saudita. Tutti attori a noi ostili in questa partita geopolitica.

Soprattutto, l’amministrazione Biden ha giocato di furbizia.

Dopo avere (giustamente) preteso l’allentamento della dipendenza dal gas russo, anziché prodigarsi per alleviare i danni all’economia europea, ha reagito varando maxi-incentivi per attirare investimenti anche dal Vecchio Continente con la scusa della transizione ecologica. Il cosiddetto IRA ha attirato gli strali di Bruxelles, costretta a rivedere la sua legislazione sugli aiuti di stato e a sperare in un accordo con Washington per non perdere produttori e investimenti.

Il problema è che Macron ha proferito un discorso a tratti sbagliatissimo nel momento peggiore possibile. Ha mostrato crepe in Occidente direttamente a casa del “nemico”. Lo ha convinto che non troverebbe un’unità ostile come quella mostrata contro la Russia all’atto dell’invasione dell’Ucraina, nel caso in cui attaccasse Taiwan per conquistarla. In questo modo, ha aumentato il rischio geopolitico, anziché ridurlo come ha sostenuto nell’intervista. In cambio di cosa? La Cina è stata chiara: non smetterà di venderci le sue materie prime, sempre più indispensabili per tendere alla transizione ecologica. A patto, però, che l’Europa la smetta di seguire gli Stati Uniti in tutte le sue crociate militari e diplomatiche.

Francia piccona fronte atlantico

Dalla visita di Macron a Pechino esce un’Europa a pezzi. Già il fatto che a parlare con Xi Jinping vada solo uno dei leader degli stati comunitari insieme alla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, la dice lunga sulla credibilità che questa riscuote a casa. Ed emerge che gli europei se la stiano facendo sotto all’idea di restare privi di materie prime e con relazioni commerciali a rischio. Ma se questo significherà proseguire sulla strada dell’incipiente reshoring o se implica il mantenimento dello status quo pre-pandemico non è comprensibile. La stessa Francia di Macron aveva sin dal 2017 ambito a una sorta di “sovranismo” europeo per replicare al capitalismo di stato cinese con una politica di difesa dell’industria continentale.

Ma la visita a Pechino semina più dubbi che certezze. Tra queste, l’unica ad emergere è lo scollamento delle posizioni europee rispetto a quelle degli Stati Uniti. Il rischio serissimo è che l’asse asiatico anti-occidentale ne approfitti per alzare la posta in gioco e infliggere dolore all’Occidente, senza che ciò porti ad alcun beneficio all’economia europea. Anzi, più dura la “guerra” sulle materie prime, più grossi i danni che accuseremmo.

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