Tripla cifra per il quinto mese consecutivo per l’inflazione in Argentina, salita a giugno al 115,6%. Si tratta del dato più alto dal 1991. La brutta notizia per le famiglie è che il peggio deve ancora arrivare. Il “dolar blue” al mercato nero vale sempre più contro i pesos collassati. Nel solo mese di agosto, perdono il 7,7% contro il -2,2% registrato dal cambio ufficiale. E più cresce la distanza tra i due tassi di cambio, maggiori le probabilità di una svalutazione imminente.

Servono ormai 596 pesos per comprare un dollaro americano contro i 293 del cambio ufficiale. I futures nei giorni scorsi scontavano un cambio ufficiale in calo del 15% già per fine agosto.

Svalutazione cambio dopo primarie?

Il possibile spartiacque sarebbe domenica 13 agosto, giorno in cui si terranno in Argentina le elezioni primarie in vista delle presidenziali di ottobre. La coalizione peronista di centro-sinistra al governo è data per sconfitta. Il centro-destra riunito nel cartello Juntos dovrebbe prevalere, anche se se è pressato a destra da La Libertad Avanza del candidato anarco-capitalista Javier Milei. Il 20% abbondante di consensi di cui quest’ultimo è accreditato dai sondaggi risulterebbe fondamentale per l’eventuale ballottaggio di novembre.

Per i peronisti in corsa c’è Sergio Massa, ministro dell’Economia da un anno. Proprio il dato sull’inflazione lo indebolisce alla vigilia delle elezioni primarie. L’uomo ha una partita ancora aperta con il Fondo Monetario Internazionale (FMI) per ricevere altri 10,8 miliardi di dollari entro l’anno, di cui 7,5 in agosto. L’istituto ha messo in chiaro che gli esborsi saranno legati all’implementazione delle riforme economiche richieste. Tra queste vi è la svalutazione del cambio. Il punto è che l’amministrazione uscente è contraria. Teme di perdere ulteriore consenso con i pesos ancora più deboli.

Economia argentina senza prospettive

I risultati delle primarie avrebbero effetti proprio sul negoziato in corso. Se Massa dovesse uscirne indebolito, a quel punto l’FMI discuterebbe la svalutazione con i candidati anche delle opposizioni.

Il ministro finirebbe in minoranza. Potrebbe sempre opporvisi, dato che il cambio della guardia alla presidenza ci sarà solo a metà dicembre. Tuttavia, con le riserve valutarie in calo il sostegno al peso sembra ormai impossibile. E ci sono 2,6 miliardi da sborsare già nei prossimi giorni in favore proprio dell’FMI.

La svalutazione del cambio nel medio termine dovrebbe favorire la ripresa delle esportazioni, l’ingresso dei capitali stranieri e la riduzione delle importazioni. Nel breve, non farà che aumentare l’inflazione dell’Argentina. Già oggi il 40% della popolazione vive in condizioni di povertà. Il mix tra svalutazione e inflazione potrebbe far lievitare tale percentuale. Nel frattempo, l’economia versa in profonda recessione. Sono passati ventidue anni dallo storico default di fine 2001 e Buenos Aires non è riuscita a risalire la china. Una speranza si era accesa nel 2015 con la vittoria di Mauricio Macri, ma tre anni più tardi il paese sprofondava in una nuova e devastante crisi finanziaria.

Inflazione Argentina brutto colpo per governo peronista

La delicatezza del momento si evince anche dalla mancata ricandidatura di Alberto Fernandez, che avrebbe potuto correre per un secondo mandato. Ha preferito non farlo per evitare un’umiliazione personale e della sua coalizione. Estremamente impopolare, è considerato il peggior presidente della storia argentina. Massa è il volto su cui puntano i peronisti per rilanciare la loro immagine offuscata da scandali e, soprattutto, dalla pessima gestione dell’economia. Sotto i loro governi si sono registrati gli ultimi due default, quello del 2014 e nel 2020. Un altro – il decimo della storia nazionale – è in vista, specie se un accordo con l’FMI non sarà siglato entro pochi mesi.

La Banca Centrale Argentina ha sottoscritto un nuovo “swap” valutario da 20 miliardi di dollari, il doppio del precedente, con la Banca Popolare Cinese.

E il governo ha ottenuto un prestito di 775 milioni dal Qatar. La penuria di valuta estera costringe oramai Buenos Aires ad optare per soluzioni emergenziali. Il problema è che non si vede all’orizzonte un avvio di politica capace di portare l’economia fuori da una crisi diventata strutturale e caso sempre più unico che raro nel panorama mondiale moderno.

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