L’Argentina è stata ammessa a far parte dei cosiddetti Brics insieme ad altri paesi da pochi giorni. Come se ve ne fosse stato ancora bisogno, segnala apertamente di voler aderire al blocco geopolitico contrapposto all’Occidente. Una grana per gli Stati Uniti, che nei fatti non stanno più controllando l’America Latina. Uno degli obiettivi principali dello schieramento internazionale anti-USA guidato dalla Cina consiste nell’incrinare il rapporto tra dollaro ed economie emergenti. La valuta di riserva globale continua a rivelarsi indispensabile per intrattenere relazioni commerciali e finanziarie con il resto del mondo.

Dollaro valuta ufficiale per uscire da crisi

Il paradosso è che proprio l’Argentina nei prossimi mesi potrebbe rimarcare il ruolo globale del dollaro. L’economia è stata travolta da un mix di crisi del debito, recessione e alta inflazione. Questa è scesa a luglio dall’apice di giugno, ma restando sopra la soglia del 100% per il sesto mese consecutivo (113,40%). La povertà dilaga e riguarda oramai quasi il 40% della popolazione. Come se non bastasse, il paese ha adottato un sistema di cambi multipli confuso e inefficiente.

Il 13 agosto scorso si sono tenute le elezioni primarie, dalle quali è emerso vincitore Javier Milei, il candidato della destra anarco-capitalista. Con oltre il 30% dei consensi, se la giocherà alle elezioni vere e proprie di ottobre. Correrà contro Sergio Massa, attuale ministro dell’Economia e a capo del cartello peronista, e Patricia Bullrich, candidata per il centro-destra all’opposizione. Milei propone di abolire la banca centrale e di adottare il dollaro come valuta ufficiale. Sembra una bizzarria, ma solo restando in America Latina ci sono stati altri paesi che hanno compiuto negli ultimi decenni una simile scelta: Ecuador e Panama.

Critiche in Argentina a Milei

Quale sarebbe la ratio? Il dollaro sarebbe una valuta stabile e consentirebbe all’Argentina di azzerare all’istante l’inflazione.

La banca centrale non avrebbe più alcun potere di fissare i tassi di interesse, né di stampare moneta. Si limiterebbe a gestire le riserve valutarie. C’è grande scetticismo sulla reale implementazione di questa proposta. La stessa cerchia di economisti attorno a Milei sostiene che ci vorranno tra 9 mesi e 2 anni per renderla possibile. Prima, infatti, bisognerà avere riserve valutarie. Quelle nette attualmente risultano negative, cioè l’Argentina di dollari in cassa non ne ha. Come farebbe a usare una moneta che non possiede?

I contrari si oppongono all’idea di legarsi mani e piedi alla politica monetaria di un’economia forte come gli Stati Uniti. Il rischio sarebbe di non riuscire più ad esportare, venendo meno la competitività. L’esempio sarebbe offerto proprio dall’Ecuador. Da quando nel 2000 adottò il dollaro come valuta ufficiale, la sua economia è cresciuta di poco più della metà rispetto a quella del confinante Perù. Ed è andato in default più volte, l’ultima nel 2020. E l’Argentina adotterebbe il dollaro proprio per uscire fuori dalla spirale mortale caratterizzata da default multipli, fuga dei capitali, crollo del cambio e inflazione alle stelle.

Pesos sempre più carta straccia

Tutte critiche razionali, ma che si scontrano con la realtà. Il potere di acquisto delle famiglie è decimato di mese in mese. Al tasso di cambio ufficiale, cinque anni fa per un dollaro servivano 40 pesos, oggi oltre 365. Solamente dalle primarie di agosto, il cambio è crollato di un altro 16,5% al mercato nero e del 18,3% secondo il tasso ufficiale per via della svalutazione parziale varata dalla banca centrale. Pensate che alla fine del 2015, ancora per un dollaro bastavano poco più di 14 pesos. La fiducia nella moneta nazionale è evaporata. Già da decenni era stata bassissima.

Argentina cerca di aumentare riserve valutarie

Nel tentativo di accrescere le riserve valutarie, il governo ha varato il quarto programma “soy dollar” o “dollaro soia”.

Consentirà agli esportatori di prodotti agro-industriali di convertire i ricavi in valuta straniera ad un cambio di 350 contro il dollaro per i tre quarti e al tasso di mercato per il restante quarto. In media, allo stato attuale significherebbe ottenere circa 455 pesos per un dollaro contro i 725 che si ricaverebbero al tasso di cambio libero. Non a caso, la Confederazione delle Associazioni Rurali di Buenos Aires e Pampa ha invitato gli iscritti a dichiarare il minimo necessario.

Non sappiamo se Milei vincerà le elezioni presidenziali, né se implementerà la promessa. Una cosa è chiara: il cambio dell’Argentina è morto. La dollarizzazione dell’economia è nei fatti. Le famiglie hanno accumulato asset per 371 miliardi di dollari in valuta straniera, qualcosa che corrisponde al 60% del PIL, se calcolato secondo il tasso di cambio ufficiale. Tenuto conto del tasso di mercato, superano abbondantemente il 100%. Nessuno vuole più pesos. E non è casuale forse che Milei spopoli tra i giovani, molti dei quali abbraccerebbero il dollaro senza riserve.

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