Quattro viaggi negli Stati Uniti da quando si è insediato alla presidenza, cioè in meno di cinque mesi, di cui due nelle sole ultime settimane. E visite ufficiali anche in Israele, Italia e Vaticano. Javier Milei sta girando molto all’estero per cercare di recuperare un’immagine dell’Argentina devastata da decenni di cattive politiche, default e crisi economica senza apparente sbocco. E l’appello lanciato da Los Angeles alle forze del capitalismo americano appare chiaro: “aiutatemi a rendere l’Argentina la nuova Roma del 21-esimo secolo”.

La frase che ha fatto più scalpore è stata, tuttavia, un’altra: “l’Argentina ha tutte le condizioni necessarie per diventare la Mecca dell’Occidente“.

Prime riforme di Milei per rilanciare l’Argentina

Milei sta facendo di tutto per far riguadagnare alla sua Argentina la reputazione perduta da un bel po’. In meno di 210 anni di storia, il Paese sudamericano ha dovuto dichiarare default nove volte, di cui tre dall’inizio di questo millennio. L’ultima ristrutturazione del debito sovrano risale al 2020 e prima che l’attuale presidente “anarco-capitalista” vincesse le elezioni nel novembre scorso, si dava per scontato un decimo default imminente. Adesso, le probabilità si affievoliscono grazie alle riforme macro-economiche che hanno impressionato positivamente il Fondo Monetario Internazionale, facendogli staccare un nuovo assegno da 4,7 miliardi di dollari.

Le prime misure di Milei sono state la svalutazione del cambio per circa il 55%, il taglio drastico di sussidi e spesa pubblica, oltre alla liberalizzazione dei prezzi e dei servizi e la privatizzazioni di alcuni asset statali. Sta per essere ceduta sul mercato la compagnia di bandiera Aerolineas Argentinas. Ma questi sono anche mesi durissimi per la popolazione, come del resto aveva avvertito lo stesso presidente. L’inflazione a marzo ha sfiorato il 288% dal 161% di novembre, mese prima dell’insediamento di Milei a Casa Rosada.

In pratica, i prezzi al consumo su base annuale stanno quadruplicando. In cinque mesi, sono sostanzialmente raddoppiati.

Inflazione mensile in Argentina

Inflazione mensile in Argentina © Licenza Creative Commons

Nuova banconota da 10.000 pesos

C’è anche da dire, però, che su base mensile si assiste a un continuo rallentamento: dall’apice del +25,5% a dicembre si è scesi al +11% di marzo, sotto i livelli dello stesso novembre del +12,8%. Questo significa che la crescita dei prezzi tende ad affievolirsi, anche in conseguenza del calo della domanda per effetto della crisi dei redditi. Per lo stesso Milei, la povertà sarebbe al 60%. Nel frattempo, comunque, l’esplosione dei prezzi sta costringendo gli argentini ad uscire di casa con sacchetti pieni di banconote per fare la spesa. Anche solo una piccola consumazione al bar può comportare l’uso di numerosi biglietti.

Se da poco era entrato in vigore il taglio di 2.000 pesos, ai tassi di cambio attuali pari ad appena 2,20 dollari, ecco che la banca centrale ha introdotto in questi giorni il taglio di 10.000 pesos. Vale sugli 11 dollari e non resterà a lungo il più elevato. Entro fine anno arriverà la banconota da 20.000 pesos, venti volte più alta rispetto al taglio massimo in circolazione fino allo scorso anno. Servirà, spiega Milei, ad agevolare i pagamenti degli argentini. E’ sintomatico, tuttavia, della grave crisi che attanaglia l’economia sudamericana, un tempo tra le più ricche al mondo.

Inflazione figlia dello statalismo

Siamo lontani dai tempi in cui fu emesso persino la banconota da 1 milione di pesos. Eravamo in piena iperinflazione, agli inizi degli anni Novanta. Ma tornando al discorso di Milei in California, cosa intendeva? I suoi propositi sono di rendere l’Argentina la patria della libertà economica. Il governo avrà un ruolo sempre minore nell’economia e nelle intenzioni del presidente la rivoluzione consisterà nell’avere fiducia nei cittadini, anziché negli apparati amministrativi.

Ha più volte utilizzato il termine “sterminare” riferito all’inflazione, che ritiene essere causa e conseguenza del grande male che affligge Buenos Aires: lo statalismo.

In effetti, l’inflazione è da molti anni fuori controllo per la necessità dei governi di monetizzare gli eccessi di spesa pubblica. Essi risentono del disordine fiscale perenne, figlio di clientelismo esasperato e assistenzialismo all’ennesima potenza. Una fascia della popolazione vive sulle spalle dei pochi che lavorano (vi ricorda qualcosa?). E lo stato, anziché premiare questi ultimi, li punisce a colpi di tasse e restrizioni alla libertà d’impresa, finendo per provocare una generazione calante della ricchezza e un incremento della povertà.

Milei punta ad una rivoluzione culturale

Al World Economic Forum, a Davos Milei, appena in carica, è stato l’unico difensore dei cardini su cui si fonda l’Occidente. Il mondo della finanza e dell’impresa guarda con grande interesse e attenzione quello che fino a pochi mesi fa veniva dipinto come un eccentrico candidato con una motosega in mano. Mentre in Europa e Nord America avanza il “big government” e sembra essere tornati alle parole d’ordine di mezzo secolo fa, tra deficit fiscali insostenibili e interventismo statale ormai cronico, l’Argentina sull’orlo di un ennesimo default può segnare la differenza. Se Milei riuscirà nell’impresa di rilanciarne l’economia, potete scommettere che ci sarà la fila dei capitalisti per investirvi. Prima di farlo, vorranno capire se si tratta di un buon momento passeggero o se davvero siamo finalmente dopo tanti decenni di sconclusionato peronismo ad una svolta culturale, ancor prima che politica.

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