INPS al centro delle attenzioni del governo. Nei giorni scorsi, è arrivato il decreto per il commissariamento dell’ente di previdenza. Di fatto, il presidente Pasquale Tridico è stato rimosso, sebbene sia tuttora in carico nelle more dell’esecuzione del provvedimento. Nominato nel 2019 dal primo governo Conte per la sua vicinanza al Movimento 5 Stelle, ecco servita la “vendetta” contro l’esecutivo che lo ha licenziato. Prima di fare gli scatoloni, ha voluto ribadire di avere lasciato in salute i conti dell’INPS, ma allo stesso tempo ha lanciato l’allarme pensioni.

Ha snocciolato alcuni dati, dai quali emerge che per quest’anno la spesa dell’ente per pagare gli assegni ai pensionati salirà di 22 miliardi di euro a causa dell’indicizzazione all’inflazione. Infatti, spiega, l’alto aumento dei prezzi al consumo si ripercuote sui costi dell’ente, mentre non sta facendo salire le entrate. Motivo? Gli stipendi stanno rimanendo fermi e i contributi versati dai lavoratori dipendenti e autonomi non variano granché.

C’è del vero in questa affermazione. L’inflazione non dovrebbe avere questo impatto devastante sulla previdenza. Ciò varrebbe, però, se gli stipendi (contributi) si adeguassero tempestivamente e recuperassero in pieno il potere di acquisto. Invece, è accaduto che l’inflazione nel 2022 è salita in media dell’8,1% e gli stipendi intorno all’1%. Nei primi mesi di quest’anno, l’ISTAT conferma la crescita marginale degli stipendi dei lavoratori. Questo significa una cosa sola: il gettito contributivo non sale, la spesa per le pensioni esplode.

Per contenere gli aumenti, il governo Meloni ha deindicizzato gli assegni sopra le quattro volte il trattamento minimo. Solo per quest’anno il risparmio di spesa è stimato in 2,5 miliardi. Si trascinerà per tutti gli anni futuri, dato che gli assegni saranno rivalutati da livelli che rimarranno inferiori ai livelli a cui sarebbero saliti nel 2023 con la precedente indicizzazione in vigore fino al dicembre scorso.

Ma l’allarme pensioni resta intatto. E più che l’inflazione in sé, il problema tecnicamente parlando è la stagnazione salariale. Un problema divenuto strutturale in Italia, come dimostrano anche i dati OCSE: tra il 1990 e il 2020, i salari reali nel nostro Paese sono scesi del 2,8%. In nessun’altra economia avanzata si è registrato un calo nel trentennio considerato.

Allarme pensioni, INPS dovrà attingere alle tasse

Se l’INPS deve spendere di più per pagare le pensioni, a fronte di un gettito quasi immutato, da dove prenderà i soldi? Glieli girerà lo stato, che già ogni anno copre i “buchi” della previdenza per decine di miliardi di euro. Per sua fortuna, le entrate tributarie tendono a lievitare con l’inflazione. Prezzi più alti fanno salire il fatturato delle imprese, a beneficio del gettito IVA e anche dell’IRPEF, in relazione ai redditi di alcune categorie autonome. Nel 2022, ad esempio, lo stato ha incassato 48,4 miliardi di euro in più di tasse, +9,8% sul 2021. Buona parte di tale incremento è stato dovuto proprio all’inflazione.

Dunque, l’inflazione da un lato “gonfia” la spesa dell’INPS, generando l’allarme pensioni, dall’altro dà una mano ai conti pubblici e consente allo stato di aiutare l’ente a coprire i costi. Non una situazione ottimale. Praticamente, sta aumentando la dipendenza del sistema previdenziale dalla fiscalità generale. Le tasse versate dai contribuenti stanno servendo in misura crescente per pagare le pensioni, le quali dovrebbero essere coperte interamente dai contributi. Invece, questi ultimi bastano e avanzano per gli ex lavoratori dipendenti e autonomi del settore privato, mentre gli ex dipendenti pubblici scassano i conti dell’INPS con un deficit superiore ai 30 miliardi.

La speranza per l’INPS è che prima o poi gli stipendi dei lavoratori recuperino il potere di acquisto perduto e crescano almeno in linea all’inflazione di questi mesi.

Solo così ci sarebbe una crescita “strutturale” del gettito contributivo e lo stato potrebbe ridurre il suo contributo all’ente. L’allarme pensioni comporterà altrimenti un meccanismo di ulteriore deindicizzazione degli assegni sopra certi importi. E sarà inutile inveire contro simili manovre. Se c’è qualcosa che non ci possiamo permettere è che la spesa per le pensioni continui a crescere senza coperture. Già nell’arco di un triennio balzerà di 50 miliardi.

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