Bassirou Diomaye Faye ha vinto due domeniche fa con oltre il 54% le elezioni presidenziali in Senegal all’età di 43 anni ed è diventato il capo di stato in Africa più giovane ad uscire vittorioso dalle urne. Fino a pochi giorni prima era stato in carcere per il reato di diffamazione. Il suo partito PASTEF (Patrioti Africani per il Senegal, il Lavoro, l’Etica e la Fratellanza), fondato insieme a Ousmane Sonko, è stato sciolto. Ha corso al suo posto, non essendogli stato possibile candidarsi, anch’egli incarcerato e non avendo fatto in tempo per formalizzare la propria presentazione alle elezioni.

E’ stato nominato nelle scorse ore primo ministro. Con la vittoria di Faye la famosa Françafrique rischia per Parigi di diventare un ricordo.

Africa tra colpi di stato ed esiti elettorali anti-occidentali

L’Africa occidentale ha visto in appena tre anni quattro colpi di stato nel Mali, in Burkina Faso, Guinea e Niger. Ovunque, i “colonialisti” francesi sono stati cacciati dai nuovi detentori del potere. Pensate che nel Niger le truppe francesi non ci sono più, mentre sono state fatte rimanere quelle italiane. In Senegal, unico stato africano a non avere mai accusato un colpo di stato sin dalla sua indipendenza nel 1960, il legame con la Francia è stato sempre forte. Il paese aderisce insieme ad altri tredici all’area monetaria del franco CFA da cui Faye vuole uscire. In campagna elettorale ha promesso che chiederà una riforma degli accordi a livello regionale e, nel caso in cui le richieste non fossero accolte, avvierebbe le pratiche per l’indipendenza monetaria.

Non solo. Egli vuole la rinegoziazione degli accordi con le compagnie petrolifere straniere per una ripartizione più equa dei ricavi. In passato aveva dichiarato che vorrebbe che la Francia lasciasse il Senegal libero di fare da sé. In altri tempi, la vittoria di Faye sarebbe stata accolta da una pioggia di critiche dalle cancellerie occidentali.

Non adesso. Unione Europea e Stati Uniti si sono subito complimentati, compresa Parigi. Il presidente Emmanuel Macron ha parlato al telefono con Faye per mezz’ora. Ufficialmente, l’Occidente loda la sua vittoria in qualità di espressione della “vivacità democratica” nell’Africa occidentale.

Occidente in allarme in Africa

Occidente in allarme in Africa © Licenza Creative Commons

Occidente fa buon viso a cattivo gioco

Non fatevi traviare dalle belle parole. Bruxelles e Washington non sono affatto consente che a vincere sia stato un candidato socialista e persino sovranista. Ma a parte il fatto che abbiano altre urgenze a cui pensare al mondo, dall’Ucraina al Medio Oriente, c’è il fattore Asia. A differenza di pochi anni fa, nessuno può permettersi più di alzare la voce oltre certi livelli di decibel in Africa. L’Occidente prima spadroneggiava con i suoi capitali e tenendo in vita finanziariamente e persino militarmente stati altrimenti falliti. Questo ruolo lo stanno svolgendo da tempo paesi come Cina e Russia. La prima ha prestato 170 miliardi di dollari a 49 stati africani tra il 2000 e il 2022. E gli investimenti diretti cinesi nel 2021 raggiungevano la cifra di oltre 5 miliardi, pur crollando l’anno successivo.

Mosca adotta una strategia parzialmente differente. Non ha le dimensioni economiche dell’alleato cinese per potersi permettere di prestare rubli a destra e a manca. Ha, però, una capacità militare che fornisce tramite le famigerate e spietate milizie Wagner. Queste scorrazzano nell’Africa sub-sahariana per sostenere le leadership anti-occidentali. Così si spiegano i colpi di stato nel Sahel di questi anni. Cina e Russia non sono alleati in questo continente, anzi sono concorrenti diretti. Ma questa per gli stati africani è una buona notizia. Mentre fino a pochi anni fa erano costretti a mendicare attenzioni e aiuti, adesso ne ottengono ovunque si volgano.

Le mani di Cina e Russia sull'Africa

Le mani di Cina e Russia sull’Africa © Licenza Creative Commons

Le mani di Cina e Russia sul continente

Attenzione: i fiumi di yuan, rubli e dollari non arrivano mai gratis. Se l’Occidente pretende riforme economiche in cambio di prestiti, la Cina mette le mani sugli asset strategici e la Russia si prende il controllo militare. In un certo senso, come passare dalla padella alla brace. Ma questo spiega perché l’Occidente non alza più la voce dinnanzi a leader recalcitranti. Come in un sistema economico liberalizzato dopo decenni di monopolio, è consapevole di non riuscire più a controllare l’offerta e che il “cliente” può benissimo girare i tacchi per andare altrove.

Chi ha molto da perdere da questa svolta, è la Francia. Il suo legame con le ex colonie d’Africa è rimasto sempre forte, pur travagliato. A torto o a ragione, esso è considerato causa di molti mali. In Senegal, dove il 75% della popolazione ha sotto i 35 anni e la disoccupazione è al 20%, molti giovani pensano di essere costretti ad emigrare a causa dei governi sottomessi ai desiderata dei francesi. Il franco CFA è percepito come simbolo di tale sfruttamento. E i francesi stessi ci insegnano che i simboli vengono assaltati quando si cerca di cambiare aria. Accadde per loro con la presa della Bastiglia nel 1789.

Senegal sarà reso esempio per l’Africa?

Senza evidenti interferenze dirette, stavolta Cina e Russia hanno fatto un colpaccio in Senegal, quando altrove in Africa hanno sostenuto o confidato in un colpo di stato. Si ritrovano un presidente eletto democraticamente dalla loro parte e ostile all’Occidente. Il meglio che potesse accadere dal loro punto di vista. E state certi che faranno di tutto per rendere Dakar un esempio per il resto del continente. Cercheranno di penetrarvi commercialmente, di foraggiarne la crescita a colpi di capitali privati e prestiti pubblici.

Già le prospettive per il Pil nel 2025 erano positive: +10,2% dal +4,1% dell’anno scorso e dal +8,3% atteso per il 2024 grazie allo sfruttamento dei primi giacimenti di petrolio e gas. Lo sviluppo economico verrebbe venduto come un successo del nuovo corso sovranista. La sfida all’Occidente si fa durissima.

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