Potrebbe essere presto la fine del cosiddetto “modello Airbnb”. Il Partito Democratico ha presentato un emendamento al dl Milleproroghe, che punta a riformare in senso profondamente restrittivo il mercato degli affitti brevi. Parliamo delle locazioni immobiliari per periodi di pochi giorni, perlopiù usufruite dai turisti per prendere una stanza o un’intera casa e trascorrervi una vacanza. Ebbene, secondo l’emendamento a firma degli onorevoli Nicola Pellicani e Rosa Maria Di Giorgio, anche per affittare tre stanze, pur in immobili differenti, e per un totale inferiore agli 8 giorni servirà la partita IVA, in quanto la locazione verrebbe considerata attività d’impresa a tutti gli effetti.

Affitti brevi: nasce il contratto standard

E non tutti potrebbero aprire la partita IVA a tale scopo, in quanto servirebbe il rilascio della licenza comunale, subordinato al tetto massimo di licenze fissato nel Comune e ai criteri stabiliti dall’ente. Ad esempio, il sindaco dovrà imporre il numero massimo di giorni nell’anno solare entro i quali sarebbe possibile affittare gli immobili, tenuto conto dei centri storici, della vocazione turistica del territorio e delle aree di interesse storico-culturale.

Riepilogando, se l’emendamento passasse così com’è stato formulato, per una locazione anche di pochi giorni bisognerebbe a) chiedere il rilascio della licenza al Comune, b) aprire la partita IVA, sempre che il Comune abbia rilasciato la licenza, e c) sottostare ai limiti stringenti fissati dall’ente, come il numero dei giorni massimo nell’anno solare. Sarebbe la fine del mercato degli affitti brevi, perché nei fatti i proprietari di seconde case verrebbero disincentivati anche solo a ipotizzare di cedere in locazione una o più stanze per sbarcare il lunario. I costi di una partita IVA non sarebbero compatibili con pochi giorni di affitto all’anno consentiti. Chi mai darebbe vita formalmente a un’attività d’impresa per affittare casa per una ventina di giorni?

La fine del turismo (e non solo)

La misura avrebbe grossi contraccolpi negativi per l’economia italiana.

Anzitutto, sbaglia chi immagina che i b&b siano un’alternativa secca agli alberghi. Molti italiani e turisti stranieri nemmeno si sposterebbero sul nostro territorio nazionale, se dovessero sobbarcarsi i costi tipici di un hotel, specialmente nel caso delle famiglie, che generalmente ottengono lauti risparmi dall’affitto di una casa o un appartamento in un’area decentrata, ma a pochi passi da una località turistica di punta. Insomma, taglieremmo fuori una fetta importante del mercato turistico, quella che fa il grosso del fatturato nei weekend lunghi e per le gite fuori porta durante le festività o i famosi ponti.

Un altro duro colpo lo subirebbero i proprietari degli immobili, sui quali ricade un’elevata tassazione tra IMU-Tasi e Tari. Molte case vacanza vengono affittate semplicemente per coprire gli oneri fiscali (e non) per il mantenimento dell’immobile, non certo per arricchirsi a spese di chissà chi. E si tenga conto di un altro dato: grazie al mercato degli affitti brevi, non solo l’Italia ha attirato turisti stranieri e vivacizzato gli spostamenti intra-nazionali, ma ha anche valorizzato il suo immenso patrimonio immobiliare privato, gran parte del quale è stato ammodernato e messo in sicurezza proprio per renderlo più appetibile agli inquilini.

Il “modello Airbnb” ha sostenuto la ripresa del mercato immobiliare in un paese come il Portogallo, che non più tardi di 6-7 anni fa era considerato alla stregua della Grecia sul piano delle difficoltà economiche e finanziarie. Città come Lisbona e Porto hanno registrato un boom di turisti, così come anche di ristrutturazioni edilizie e dei valori delle case, grazie alla messa a frutto degli immobili per il settore turistico, che ha fatto da traino per tutta l’economia lusitana, consentendole di uscire con successo dalla grave crisi.

Il modello Airbnb fa il miracolo in Portogallo

Verso un modello sovietico

L’emendamento demenziale del PD con retrogusto sovietico non solo non darebbe alcuna regolata al settore, ma finirebbe per incrementare il mercato nero degli affitti brevi e per zavorrare il numero dei pernottamenti, a tutto discapito sia degli introiti fiscali, sia della stessa qualità degli immobili, molti dei quali tornerebbero allo stato di semi-abbandono di qualche anno fa. Di più. Interi quartieri e centri storici tornerebbero a spopolarsi, abbandonati a sé stessi e all’incuria delle amministrazioni locali, le stesse che metterebbero i bastoni tra le ruote ai proprietari delle case. Semmai, servirebbe accertarsi che gli immobili locati rispettino le norme igienico-sanitarie, anti-sismiche, di stabilità strutturale e di sicurezza, essendo più che corretto che un ignaro turista non finisca per pernottare in una casa insicura da uno o più punti di vista.

Da qui a pretendere, però, che il proprietario apra la partita IVA, con tutti i costi annessi, e debba persino mendicare la licenza al Comune, che magari, pressato dalle associazioni alberghiere, limiterebbe a pochi “fortunati” (amici?) e per pochi giorni all’anno il mercato degli affitti brevi, sembra una soluzione folle per il turismo e l’immobiliare. Anziché concepire simili nefandezze, incomprensibili per un’economia come quella italiana a forte vocazione turistica e che già oggi sfrutta fin troppo poco questo comparto rispetto alle sue enormi potenzialità, servirebbe agevolare ogni forma di attività che vivacizzi il settore. Ma il buon senso non alberga a Roma.

Turismo in Italia, crisi in cifre

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