Le esportazioni di petrolio russo via mare sono salite ai massimi da tre anni, superando i livelli precedenti allo scoppio della guerra in Ucraina. Nel primo trimestre dell’anno, hanno ammontato a 3,50 milioni di barili al giorno contro i 3,35 milioni dello stesso periodo del 2022, inclusivo delle settimane immediatamente successive all’invasione russa. Tuttavia, ad essere cambiata è stata la composizione della domanda. Infatti, se l’Europa a fine 2021 incideva ancora per il 57%, in questi primi mesi del 2023 la sua quota è crollata all’8%.

Il Vecchio Continente sta allentando la dipendenza energetica da Mosca, tra l’altro a seguito dell’embargo varato nel dicembre scorso e che ha preso di mira i barili di petrolio russo venduti a prezzi superiori ai 60 dollari.

Ma Vladimir Putin non avrebbe riscontrato grosse difficoltà a reperire nuovi clienti, come dimostrano altri dati. La Cina incideva per il 25% delle esportazioni di petrolio russo prima della guerra, adesso per il 36%. Ma il vero boom è avvenuto in India. Il sub-continente asiatico quasi non comprava un goccio di greggio da Mosca fino a tutto il 2021, pesando per un misero 1%. Adesso, la sua quota è esplosa al 52%. India e Cina rappresentano ormai il 90% della domanda. I russi sono letteralmente nelle loro mani.

Doppia fregatura all’Europa sul petrolio russo

Ma il fatto che le esportazioni di petrolio russo siano salite sopra i livelli pre-bellici non significa che le entrate non stiano risentendo dell’embargo europeo. Le vendite in Asia stanno avvenendo a forte sconto, verosimilmente nell’ordine di una trentina di dollari al barile. E così, nel mese di marzo, calcola l’Agenzia internazionale per l’energia, il fatturato è diminuito del 43% su base annua a 12,7 miliardi di dollari.

Questi numeri suggeriscono anche che Cina e India stiano approfittando della situazione per acquistare petrolio russo a prezzi nettamente inferiori alle quotazioni internazionali. Una fregatura per l’Europa, che si ritrova a produrre a costi ben maggiori delle competitor asiatiche.

Gli stessi Stati Uniti, comunque, accusano il colpo. Ma non è finita. Reuters riporta che nel porto di Fujairah, Emirati Arabi Uniti, risultano essere state scaricate nel solo mese di marzo 500.000 tonnellate di petrolio russo, un dato che si confronta con importazioni sostanzialmente nulle di un anno prima.

Ciò corrisponderebbe a più di 100.000 barili al giorno. L’aspetto più curioso della vicenda è che a comprare petrolio russo risultano essere Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, tra i principali produttori mondiali. Ma tali importazioni non sono finalizzate ai rispettivi consumi interni. I due paesi del Medio Oriente stanno approfittando dell’elevato sconto praticato da Mosca per rivendere poi a prezzo pieno gli stessi barili all’Europa. In pratica, l’Asia sta facendo grandi affari sulla pelle del nostro continente, il cui embargo sta sì riducendo la dipendenza energetica da Mosca, ma a caro prezzo.

In Asia blocco geopolitico anti-occidentale

Ricordiamo che a nelle scorse settimane l’OPEC+ ha annunciato il taglio dell’offerta di petrolio per 1 milione di barili al giorno a partire da maggio. La Russia procrastinerà il proprio taglio di mezzo milione di barili al giorno fino alla metà dell’anno. I sauditi si sono accollati un’altra quota di mezzo milione di barili al giorno con l’obiettivo di tenere alte le quotazioni del Brent. Una decisione che farebbe il solletico a Cina e India, le quali continueranno ad acquistare petrolio russo a forte sconto. Al contrario, rischia di essere pesante per l’Europa, dipendente dalle importazioni dal resto del mondo.

In Asia, si sta saldando un blocco geopolitico pericolosissimo per l’economia occidentale. Cina, India, Russia, Arabia Saudita, Iran e altri paesi minori puntano a fare asse facendo leva sulla loro abbondanza di materie prime.

Se la dedollarizzazione appare un obiettivo improbabile nel breve e medio termine, ben più concreto si mostra il potere di ricatto che questi stati possono esercitare nei confronti delle potenze ritenute “nemiche”. Perché se è vero che senza capitali un’economia non possa svilupparsi, d’altra parte nessuna potrebbe produrre senza materie prime. Il blocco asiatico vuole rimarcare all’Occidente che il dollaro sia un’arma spuntata; senza petrolio, gas, terre rare, chip, semiconduttori, minerali, ecc., non andrebbe da nessuna parte.

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