Il Partito Socialdemocratico della premier Sanna Marin ha perso le elezioni politiche in Finlandia, che si sono tenute nella giornata di ieri. Ha ottenuto il 19,9% dei voti e 43 seggi, 3 in più della legislatura uscente. Tuttavia, è stato scavalcato sia dal Partito di Coalizione Nazionale con il 20,8% e 48 seggi, sia dal Partito dei Finlandesi, al loro record del 20,1% e 46 seggi. Pesante il calo accusato dagli alleati della sinistra: Alleanza di Sinistra perde 5 seggi e scende a 11, i Verdi crollano da 20 a 13 seggi, il Centro da 31 a 23.

Finlandia entra in NATO

Il paradosso è che Sanna Marin è e resta popolare all’estero, dove si è fatta una fama di europeista, specie dopo che la Russia ha invaso l’Ucraina. Ha fatto richiesta di adesione alla NATO e l’iter si concluderà formalmente tra qualche settimana. La Finlandia perde così la sua storica neutralità, ma la decisione della premier non ha avuto alcuna influenza sulla campagna elettorale. Tutti i partiti si sono detti favorevoli per ragioni di sicurezza nazionale. Invece, il centro-destra e l’ultra-destra hanno concentrato il loro rispettivo messaggio sui temi dell’economia.

Il leader di Coalizione Nazionale, Petteri Orpo, ha basato la sua proposta politica sulla necessità di tagliare la spesa pubblica della Finlandia. Sotto Sanna Marin, il debito pubblico è salito sopra il 70% del PIL. Per quanto molto inferiore alla media dell’Area Euro di quasi il 95%, i conservatori lamentano che di questo passo diventerà insostenibile. Insieme al Partito dei Finlandesi, hanno proposto il taglio dello stato assistenziale. In altre parole, minori sussidi a famiglie e imprese. La premier non ha riconosciuto la necessità di mettere in ordine i conti dello stato, ma nel caso si rendesse necessario, ha affermato, punterebbe sull’aumento delle tasse e non sul taglio della spesa.

Non meno sentito dalla popolazione è stato il problema dell’inflazione, a febbraio ancora all’8,8%.

Le opposizioni, uscite vittoriose alle elezioni, hanno accusato il governo di sinistra di minacciare l’economia e la stabilità dei prezzi con una politica disattenta alla sicurezza energetica nazionale. Il centro-destra vuole puntare ancora sul nucleare per allentare la dipendenza dall’estero, specie dal gas russo.

Ideologia green bocciata

Altro punto dibattuto è stato il raggiungimento della neutralità carbonica entro il 2035. Un obiettivo considerato troppo ambizioso dai due vincitori delle elezioni, sebbene anch’essi si siano mostrati intenti a tagliare le emissioni di CO2. Il crollo dei Verdi, tuttavia, rimarca come le politiche ideologiche sull’ambiente non abbiano fatto breccia tra gli elettori, anzi siano state bocciate. Ed è un messaggio chiaro che la Finlandia invia all’Europa: niente “gretinismo” che minacci le economie nazionali.

Cosa accade adesso? Orpo sarà il primo a ricevere l’incarico di formare il nuovo governo. Ha già detto che non esclude accordi con nessuno, persino con i socialdemocratici. Ma la base ha fischiato questo passaggio, gradendo un’alleanza con il Partito dei Finlandesi, definito “razzista” da Sanna Marin in campagna elettorale, accusa respinta dalla leader Riikka Purra. Quest’ultima punta a una politica più restrittiva dell’immigrazione, un tema su cui esistono divisioni con il partito di Orpo, ma non così insormontabili.

Economia decisiva per risultati elettorali

Chi ha creduto che la politica estera avrebbe giocato un ruolo determinante nelle elezioni in Finlandia, probabile che non ricordi il precedente storico di George Bush nel 1992. La vittoria nella Guerra del Golfo contro l’Iraq di Saddam Hussein aveva reso il presidente americano il vincitore quasi certo delle elezioni. Poi, i conti con la realtà: vinse un semi-sconosciuto Bill Clinton dell’Arkansas. A chi si chiedeva come fosse potuto accadere, lo stratega della campagna per i democratici rispose “it’s economy, stupid”. E anche stavolta è stata l’economia a determinare l’esito del voto.

La Finlandia risulta di gran lunga lo stato scandinavo più indebitato. I suoi tassi di crescita economica non sono stati esaltanti da molti anni a questa parte. Anzi, dal 2007 al 2022 il PIL è cresciuto in termini reali di appena il 6,8%. Il periodo migliore è stato tra il 2015 e il 2019, quello in cui ha governato il centro-destra alleato dell’ultra-destra. Questo precedente potrebbe aiutare a mettere d’accordo i due principali partiti usciti vittoriosi. Molto può ancora accadere, ma già sembra che la nuova stella dei progressisti europei sia tramontata ancor prima di brillare.

Tra l’altro, anche la Svezia è andata a destra alle elezioni del settembre scorso. L’ex premier Magdalena Andersson, anch’ella sostenitrice dell’ingresso nella NATO, è stata sconfitta sui temi dell’immigrazione e della sicurezza. E anche questo è stato un segnale non colto dall’Unione Europea, che continua ad ignorare l’abisso tra le istanze portate avanti dalle istituzioni comunitarie e quelle dei cittadini.

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